In questi giorni in cui cade il 150°
anniversario dell'Unità d'Italia, siamo tutti quanti
chiamati a stringerci intorno ai valori della Patria,
a ricordare degli Eroi che hanno fatto si che l'Unità
si concretizzasse, a ricordare tutti coloro che sono
morti nelle varie guerre a difesa di essa. Daccordo,
dopo 150 anni questo è possibile e plausibile.
Ma parlare, invece, di quello che
accadeva a Forino in quei tempi è quantomeno complicato. E
non possiamo dire che i nostri avi fossero
completamente convinti che l'Italia unita avrebbe
risolto i loro atavici problemi. Anzi, nell'immediato
ne sperimentarono sulla loro pelle la durezza delle
vessazioni su un popolo conquistato. E' ovvio che
stiamo parlando della gente comune, non dei
benestanti. Dobbiamo quindi effettuare i dovuti
distinguo tra quanto narratoci dal Tornatore rispetto
al pragmatismo più concreto del Vespucci. Le notizie
del Tornatore risultano profondamente inquinate da quello che
è stato il revisionismo storico verso avvenimenti che dalla
maggio parte dei
nostri avi furono visti come una annessione
forzata, più che frutto di una identità nazionale
unitaria. Per una volta esprimo la mia criticità per il
modo in cui sono stati riportati i fatti dal Tornatore.
Egli, a mio giudizio, è stato sì un riferimento per la
storiografia locale, ma è stato anche fin troppo
accondiscendente nel non urtare la suscettibilità dei
notabili del nostro paese, nelle varie ere storiche,
politiche e sociali che la sua vita attraversò. Non
espresse mai l'auspicata giusta criticità, al
contrario del Vespucci. Quindi anche dalla sua
descrizione degli avvenimenti che hanno portato
all'Unità d'Italia traspare una severità di giudizi
sui Borbone facile da attuarsi, in quanto priva di
contraddittorio. Evidenza data dai successivi giudizi
sul fascismo; accondiscendente e enfatizzante durante
quel periodo, deploratorio in seguito, i suoi scritti
lo testimoniano.
Il Vespucci invece, com'era il suo dichiarato costume
narrativo, evitava di dare giudizi diretti sugli
avvenimenti, ben conscio che molti degli attori
degli eventi di quell'epoca erano, per i suoi
contemporanei, ascendenti diretti, e quindi evitava
l'elogio per evitare anche la critica. Ma
perchè quasi la totalità della classe dirigente del
tempo vide di buon occhio il passaggio dal Regno delle
Due Sicilie all'Unità d'Italia? Non per gli alti
ideali patriottici, di certo. La borghesia
meridionale, che un chiaro disegno politico condannava
a crescere poco, era composta da proprietari terrieri.
I quali furono prima borbonici e subito dopo
piemontesi a patto che non si aprisse la
questione dei titoli di proprietà, e la
distribuzione delle terre demaniali ai contadini
continuasse ad essere ciò che da sempre era stata,
solo un argomento per le chiacchiere di quei
salotti in cui si riunivano i liberali
estremisti. Con i decreti sulla eversione feudale
Gioacchino Murat si propose di demolire il potere
della nobiltà meridionale, di creare una sostanziosa
classe di piccoli proprietari terrieri, e dunque di
potenziare l’economia del regno: il che avrebbe
innescato il rinnovamento delle istituzioni, delle
strutture sociali e avrebbe ampliato progressivamente
il ceto dirigente. Questo in teoria, ed ecco il perchè
di un certo doppiogiochismo. Ciò nonostante, bisogna
segnalare che nelle liste di proscrizione
post-unitarie, volute da Enrico Cialdini, generale
piemontese prima e senatore del Regno d'Italia poi, e
a cui mi sottraggo di dare giudizi sul suo operato,
finirono anche i Caracciolo di Forino, che almeno
inizialmente manifestarono la loro fedeltà ai Borbone,
salvo poi adeguarsi alla nuova identità nazionale.
Il periodo post-unitario vide anche Forino, come molti
altri paesi, attraversata dalle bande di soldati
ex-borbonici che tentavano di riorganizzarsi nel nome
di una Nazione oramai disciolta. A loro si
affiancarono anche molte bande di personaggi con scopi
molto meno nobili, dediti alla razzia e
all'assassinio; nella fattispecie i monti di Forino
furono base della banda di Cipriano La Gava, che
trovava rifugio tra i monti Romola, Piana,
Boschitello, Esca e sopratutto Faliesi. Questo
fenomeno venne massificato come Brigantaggio,
senza distinzione tra gli ultimi nostalgici borbonici
e le masnade di ispirazione camorristica e includendo
anche i poveri contadini che volevano sottrarsi
all'iniquo obbligo della leva militare di 5 anni, alla
tassa sul grano e a tanti altri piccoli balzelli che
rendevano la loro misera vita ancora più dura.
Ma, come detto all'inizio, le sofferenze di questa
gente e gli opportunismi della classe dirigente
appartengono, oramai, a un lontano passato. In seguito
si è cementificata l'Unità Nazionale, anche se i venti
seccessionistici che spirano dal Nord non lasciano
presagire nulla di buono. |