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Il 1861 a Forino

 
In questi giorni in cui cade il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, siamo tutti quanti chiamati a stringerci intorno ai valori della Patria, a ricordare degli Eroi che hanno fatto si che l'Unità si concretizzasse, a ricordare tutti coloro che sono morti nelle varie guerre a difesa di essa. Daccordo, dopo 150 anni questo è possibile e plausibile.
Ma parlare, invece, di quello che accadeva a Forino in quei tempi è quantomeno complicato. E non possiamo dire che i nostri avi fossero completamente convinti che l'Italia unita avrebbe risolto i loro atavici problemi. Anzi, nell'immediato ne sperimentarono sulla loro pelle la durezza delle vessazioni su un popolo conquistato. E' ovvio che stiamo parlando della gente comune, non dei benestanti. Dobbiamo quindi effettuare i dovuti distinguo tra quanto narratoci dal Tornatore rispetto al pragmatismo più concreto del Vespucci. Le notizie del Tornatore risultano profondamente inquinate da quello che è stato il revisionismo storico verso avvenimenti che dalla maggio parte dei nostri avi furono visti come una annessione forzata, più che frutto di una identità nazionale unitaria. Per una volta esprimo la mia criticità per il modo in cui sono stati riportati i fatti dal Tornatore. Egli, a mio giudizio, è stato sì un riferimento per la storiografia locale, ma è stato anche fin troppo accondiscendente nel non urtare la suscettibilità dei notabili del nostro paese, nelle varie ere storiche, politiche e sociali che la sua vita attraversò. Non espresse mai l'auspicata giusta criticità, al contrario del Vespucci. Quindi anche dalla sua descrizione degli avvenimenti che hanno portato all'Unità d'Italia traspare una severità di giudizi sui Borbone facile da attuarsi, in quanto priva di contraddittorio. Evidenza data dai successivi giudizi sul fascismo; accondiscendente e enfatizzante durante quel periodo, deploratorio in seguito, i suoi scritti lo testimoniano.
Il Vespucci invece, com'era il suo dichiarato costume narrativo, evitava di dare giudizi diretti sugli avvenimenti, ben conscio che molti degli attori degli eventi di quell'epoca erano, per i suoi contemporanei, ascendenti diretti, e quindi evitava l'elogio per evitare anche la critica. Ma perchè quasi la totalità della classe dirigente del tempo vide di buon occhio il passaggio dal Regno delle Due Sicilie all'Unità d'Italia? Non per gli alti ideali patriottici, di certo. La borghesia meridionale, che un chiaro disegno politico condannava a crescere poco, era composta da proprietari terrieri. I quali furono prima borbonici e subito dopo piemontesi a patto che non si aprisse la questione dei titoli di proprietà, e la distribuzione delle terre demaniali ai contadini continuasse ad essere ciò che da sempre era stata, solo un argomento per le chiacchiere di quei salotti in cui si riunivano i liberali estremisti. Con i decreti sulla eversione feudale Gioacchino Murat si propose di demolire il potere della nobiltà meridionale, di creare una sostanziosa classe di piccoli proprietari terrieri, e dunque di potenziare l’economia del regno: il che avrebbe innescato il rinnovamento delle istituzioni, delle strutture sociali e avrebbe ampliato progressivamente il ceto dirigente. Questo in teoria, ed ecco il perchè di un certo doppiogiochismo. Ciò nonostante, bisogna segnalare che nelle liste di proscrizione post-unitarie, volute da Enrico Cialdini, generale piemontese prima e senatore del Regno d'Italia poi, e a cui mi sottraggo di dare giudizi sul suo operato, finirono anche i Caracciolo di Forino, che almeno inizialmente manifestarono la loro fedeltà ai Borbone, salvo poi adeguarsi alla nuova identità nazionale.
Il periodo post-unitario vide anche Forino, come molti altri paesi, attraversata dalle bande di soldati ex-borbonici che tentavano di riorganizzarsi nel nome di una Nazione oramai disciolta. A loro si affiancarono anche molte bande di personaggi con scopi molto meno nobili, dediti alla razzia e all'assassinio; nella fattispecie i monti di Forino furono base della banda di Cipriano La Gava, che trovava rifugio tra i monti Romola, Piana, Boschitello, Esca e sopratutto Faliesi. Questo fenomeno venne massificato come Brigantaggio, senza distinzione tra gli ultimi nostalgici borbonici e le masnade di ispirazione camorristica e includendo anche i poveri contadini che volevano sottrarsi all'iniquo obbligo della leva militare di 5 anni, alla tassa sul grano e a tanti altri piccoli balzelli che rendevano la loro misera vita ancora più dura.
Ma, come detto all'inizio, le sofferenze di questa gente e gli opportunismi della classe dirigente appartengono, oramai, a un lontano passato. In seguito si è cementificata l'Unità Nazionale, anche se i venti seccessionistici che spirano dal Nord non lasciano presagire nulla di buono.

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