Saluti da Forino.it - Home Page

in rete dal 23 settembre 1999 - in caso di utilizzo dei contenuti sarebbe educato citarne la fonte                                                . email          . disclaimer          . alcune pubblicazioni in formato PDF

 
“Ad locum cui Forinus nomen est” - La battaglia di Forino del 663
 
Le battaglie combattutesi a Forino che la storia ricorda, perchè decisive di determinati eventi, sono due: quella del 1799, tra i fedeli ai Borbone ed i fautori della Repubblica Napoletana, e quella ben più sanguinosa combattutasi tra le truppe Longobarde e Bizantine nel 663. Qui tratteremo di quest'ultima, decisiva per lo sviluppo storico e sociale del nostro paese. È una ricerca portata avanti avendo come base la conoscenza dei luoghi e dei toponimi, e anche avventurandosi in personalistiche intuizioni.
È consigliabile quindi, se ne vengono prelevati i contenuti, citare la fonte.

 

Nel 476, dopo numerose invasioni e battaglie cade l’Impero Romano d’Occidente. È la fine di un millennio di storia caratterizzato dalla nascita e dalla potenza di Roma nel mondo allora conosciuto, ed è l’inizio di un periodo oscuro dominato dal caos e dalla paura. Non è conosciuto il modo in cui gli abitanti della terra di Forino attraversarono questo momento buio della storia. È certo che la religione cristiana era ancora lontana da una penetrazione completa tra il popolo. Fatto testimoniato da documenti rogati nel VII secolo nella nostra terra, che reca al posto della croce dopo la firma -simbolo di cristianità- un triangolo, testimoniando che il paganesimo era ben lontano dall’essere abbandonato. Roma da molto tempo aveva smesso di essere il centro dell’impero. L'imperatore Costantino aveva spostato la capitale sul Bosforo, nella meno antica Bisanzio, collocata in un punto strategico per i suoi interessi, e la ribattezzò Costantinopoli. Ed è da li che qualche anno dopo, l’imperatore Giustiniano pensò che fosse giunto il momento di restaurare i fasti dell’antico impero, imbarcandosi in una serie di guerre di riconquista dei territori che oramai da quasi un secolo erano in mano alle popolazioni barbare, iniziando quella che fu definita la guerra greco-gotica (535-553). Pensò quindi di inviare in Italia, nel 535, il suo generale Belisario, il quale intraprese la campagna di riconquista dei territori in mano ai Goti. Questa guerra fu per l’Italia una rovina. Belisario dopo le prime effimere vittorie, accusò varie sconfitte, e quindi il territorio passò da un dominatore all’altro senza soluzione di continuità. Il territorio di Abellinum fu tenuto da Belisario solo pochi anni (536-539), per poi essere ripreso da Totila (543), che distrusse tutte le opere di difesa in esso esistenti, per impedire ai Bizantini la rioccupazione. Per i Goti fu facile rioccupare il territorio, in quanto le popolazioni indigene, stremate dal fiscalismo bizantino della prima occupazione, si erano consegnate a Totila. Egli era riuscito ad avere il loro appoggio, ma poi operò radicali distruzioni lasciando fortificate solo Napoli e Cuma. Dopo quindici anni di lotte, Giustiniano si convinse di richiamare Belisario, e inviò in sostituzione il generale Narsete. In soli due anni di campagna questo generale riuscì ad annientare i Goti, e a riportare quindi l’Italia nell’Impero. E fin dal 552, dopo che i Goti riportarono una sconfitta ad opera delle truppe bizantine sui monti Lattari, ebbe così inizio l’epoca della dominazione bizantina dell’Italia meridionale. Un dato di fatto fu che Narsete e le sue truppe sostarono per più di un anno (553) nella piana tra il fiume Sarno e Montoro. Curiosità confermata dalla presenza nel comune di Montoro Inferiore, e più precisamente nella frazione di Piazza di Pandola, del toponimo Campo dei Greci. I bizantini introdussero il culto della figura di San Nicola di Myra tra le nostre genti, prova che erano abituali frequentatori delle nostre zone. Per giungere nella nostra valle, e soprattutto per poter controllare meglio il territorio dove erano di stanza, era necessario raggiungere quel colle che domina la valle dell’Irno e che controlla gli accessi ad essa. E quel colle è quello che oggi noi conosciamo come Colle San Nicola. Divagando con l’immaginazione, ci pare di assistere alle cavalcate dei drappelli bizantini per le valli circostanti il loro accampamento. Erano sicuramente attratti da quel piccolo monte in posizione dominante sulla valle di Montoro. Un punto di osservazione privilegiato per scrutare l’orizzonte e controllare il nemico, che poteva coglierli in qualunque momento di sorpresa. Ed è quindi in questo periodo, come ci narra la tradizione orale ripresa dal primo estensore di una storia di Forino, il padre Antonio Girolamo Tornatore, che nei pressi del castello, posto sul colle a guardia della valle di Montoro, si iniziò a venerare il Santo, “… la cui rozza immagine, sospesa ad un albero, raccoglieva intorno a se i pochi abitanti...”.

La collina di San Nicola tra le nuvole
Colle di San Nicola

La Chiesa di Santa Maria Castro Forini
Chiesa di Santa Maria Castro Forini

Inoltre, la tradizione vuole che nell'area della contrada di Martignano, proprio dove sorge la chiesa campestre di Santa Maria Castro Forini, insistesse un accampamento bizantino. Tesi che poteva essere confermata da ritrovamenti archeologici, di cui si ignora esito ed epoca. Gli studiosi indicano che che spesso le chiese campestri sorgessero in luoghi di inumazione, e che quindi anche la chiesetta di Martignano possa sorgere in un luogo di preghiera e sepoltura. Il Tornatore scrive che in quell'epoca la nostra terra era molto spopolata. Potrebbe anche darsi che la nostra valle, dopo aver ospitato insediamenti romani di varia natura, abbia subito nel periodo “buio” di quegli anni uno spopolamento, e che quindi, con l’arrivo dei bizantini, gruppi di questi abbiano deciso di stanziarsi nella zona, visto che era costume del tempo premiare i guerrieri più valorosi con l’assegnazione di fondi terrieri da destinare all’uso agricolo. E certamente le nostre valli, oltre ad essere comprese anticamente nel nemus corilianum, erano sicuramente molto fertili per via delle ceneri vulcaniche che le eruzioni del Vesuvio periodicamente avevano deposto, cosa constatabile anche ai nostri giorni. Per la scomparsa di Abellinum e per la peculiarità difensiva del bacino a vantaggio di chi cercava scampo dalla pianura e dalla costa, Forino entrò nell’orbita di Salerno. Venne cioè a far parte di quell'area gravitante sulla città che visse per lungo tempo una simbiosi particolare con essa, e che vide in questo periodo la costituzione dei distretti pievani, territori organizzati intorno ad una chiesa matrice. Negli angoli più riposti di quest'area il cristianesimo delle origini non scomparve, nonostante il fallimento del mondo romano e gli sconvolgimenti delle invasioni. Fu in questi ambienti che andò formandosi, come in tutte le comunità postcristiane, quel sincretismo di cristianesimo e paganesimo che è substrato della religiosità popolare, in cui i comportamenti pagani, depurati dall’aspetto religioso, si trasformarono in atti consuetudinari permettendo al cristianesimo di assorbirli in sé. Ciò avvenne per il culto dei santi e degli angeli che sostituì il bisogno pagano di quella serie di dei minori che accompagnavano l’uomo dalla nascita alla morte e portò alla pratica di porre croci o piccole cappelle nei luoghi della vita quotidiana, campi o case, per rimanere sotto la protezione divina. Questo spiega il perché di tante chiese forinesi dislocate all’esterno dei centri abitati o in aperta campagna.

Intanto, all’orizzonte nuove guerre allungavano le loro ombre tenebrose sull’Italia. Nell’anno 568 fecero la loro apparizione sul suolo italiano i Longobardi, i quali scesero fino al meridione, occupando con le armi alcuni territori del napoletano, e fondando, nel 570 il Ducato di Benevento. Anche Forino passò sotto la dominazione longobarda ed ebbe a capo uno sculdascio. Ancora anni bui per Forino? Non sembra; gli “invasori” Longobardi non dovettero essere particolarmente oppressivi, anche se la storia ci ha tramandato una visione alquanto feroce di loro. Nonostante tutto, il culto di San Nicola non fu abbandonato, anche se erano stati veramente pochi gli anni intercorsi tra la riconquista bizantina e l’invasione longobarda perchè si potesse talmente radicare nel territorio il culto del vescovo di Myra. Anzi, a tal proposito, e conoscendo le tradizioni locali, viene da pensare che due comunità in quei tempi ben distinte, riuscissero a coesistere nella vallata forinese. Con il tempo le comunità si saranno miste, e se riescono a coesistere due culti così remoti, come quello di San Nicola introdotto dai Bizantini e quello di San Michele Arcangelo, protettore delle genti longobarde, si evince che nonostante tutto le popolazioni non furono tra di loro particolarmente bellicose. A sostegno di queste ipotesi vanno due fatti: il primo lo fornisce la storia del Tornatore, che riporta una notizia 586, circa una contesa sorta, il giudice Amato interrogò “etiam Sacerdotem ac Recorem Ecclesiae S. Nicolai propre Furino”. Questa è la prima menzione circa l’esistenza di una chiesa titolata al Vescovo di Myra. E quindi stiamo parlando di 34 anni dalla sconfitta dei Goti e dal ritorno dei Bizantini, e di soli 16 anni dalla costituzione del Ducato di Benevento. Inoltre, secondo fatto, va ricordato l’accordo del 598, con il quale al Papa Gregorio I viene facilitata l’opera di conversione al cristianesimo cattolico delle genti longobarde. Questo stato di cose non rassegnò i Bizantini a rinunciare all’Italia e, dopo qualche decennio (662), Costante II tentò di rimpossessarsi dei territori peninsulari. L'arrivo di Costante in Italia suscitò un’enorme sorpresa perché era dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente che un Imperatore romano non risiedeva in Italia. Nel 663, sbarcato a Taranto, condusse l'ultima vera e decisa azione dell'Impero Romano d'Oriente diretta a riconquistare i territori occidentali e a riaffermare nei fatti la superiorità formale dell'Impero. Tra realtà e leggenda, giunto a Taranto, una delle prime cose che Costante fece fu quello di consultare un eremita, che si diceva avesse la capacità di prevedere il futuro.


La zona compresa tra il Monte Bufoni e il Colle San Nicola

La gotta sul monte Faliesi
L'antica grotta a Faliesi

Lo interrogò sull’esito della spedizione, e l'eremita sentenziò: "La gente dei longobardi non può essere vinta da nessuno, perché una regina, venuta da altri paesi, ha costruito nel loro territorio una basilica al beato Giovanni Battista, e perciò lo stesso beato Giovanni intercede continuamente a favore di quel popolo. Ma verrà un tempo quando tale santuario non sarà più tenuto in onore, e allora quella gente perirà." (Paolo Diacono, "Historia Langobardorum, Libro V, Capitolo 6"). Il perché di questa opportuna citazione lo comprenderemo in seguito. Nonostante la predizione sfavorevole, Costante decise di tentare lo stesso l'impresa. Egli strinse un'alleanza con i Franchi, che aggredirono il regno longobardo da nord, mentre egli aggrediva il ducato di Benevento. Il duca di Benevento Romualdo non aveva forze sufficienti per fronteggiare l'aggressione bizantina e richiese aiuto al padre Grimoaldo, re dei Longobardi. Tuttavia quest'ultimo non lo poté inizialmente aiutare perché impegnato nel respingere l'invasione franca del Nord Italia. Costante II conquistò qualche facile successo, cosa che però non gli riuscì con l'assediò alla città di Benevento. Intanto Grimoaldo, sconfitti i Franchi, accorse in aiuto del figlio. Conscio dell'arrivo di Grimoaldo, che temeva, Costante II firmò una pace con Romualdo, pose fine all'assedio di Benevento e decise di ripiegare verso la già sottomessa Napoli.  Giunto a destinazione, Costante II, evidentemente non rassegnato, fece un ultimo tentativo per conquistare il ducato: “Uno dei suoi ottimati di nome Saburro, come si narra, chiese ad Augusto ventimila uomini e promise che avrebbe affrontato vittoriosamente Romualdo. Ottenuto l’esercito e giunto in un luogo chiamato Forino (ad locum cui Forinus nomen est), vi pose l’accampamento. Grimoaldo, che era già arrivato a Benevento, non appena lo seppe, decise di muovergli contro. Gli disse il figlio Romualdo: ’Non c’è n’è bisogno; dateci soltanto una parte del vostro esercito. L’affronterò io, con l’aiuto di Dio, e quando avrò vinto sarà data maggior gloria alla vostra potenza’.Così avvenne. Ricevuta una parte dell’esercito del padre, insieme a suoi uomini, marciò contro Saburro. Prima di attaccare battaglia, fece suonare le trombe in quattro direzioni, e subito si lanciò con audacia su di loro. Mentre i due schieramenti combattevano con accanimento, uno dell’esercito del re, di nome Amalongo, che di solito portava il vessillo del re issato sulla lancia, percosse forte con quella stessa lancia, a mani unite, un greco, lo prese dalla sella su cui cavalcava e lo sollevò per aria sopra il suo capo. Vedendo ciò, l’esercito dei Greci, preso all’improvviso da immenso terrore, si volse in fuga, e fatto rovinosamente a pezzi, fuggendo procurò a sé morte, a Romualdo e ai Longobardi vittoria. Così Saburro che aveva promesso al suo imperatore il trofeo della vittoria sui Longobardi, ritornando a lui con pochi uomini, gli recò l’ignominia. Romualdo, invece, ottenuta la vittoria sui nemici, ritornò trionfante a Benevento e procurò gioia al padre e a tutti sicurezza, eliminando la paura del nemico” (Paolo Diacono, "Historia Longobardorum, Libro V, 10"). La tradizione vuole sia stata combattuta l’8 di maggio. I Longobardi, ad imperituro ricordo, pensarono bene di erigere in nella zona uno dei numerosi santuari o chiese rupestri dedicati a San Michele Arcangelo, inserito in quella traiettoria che va dal Tirreno all’Adriatico.


La Chiesa di San Giovanni de Celsis


La Chiesa di San Giovanni de Celsis

È molto probabile anche che il nome al monte Faliesi, dove è posto questo luogo di culto, sia stato dato dai Longobardi in occasione di tale evento. Il nome è di chiara origine germanica: l’antico alto tedesco falisa significava ‘rupe, roccia’. La posizione della grotta sul Faliesi fa pensare che la battaglia sia stata combattuta nella zona che segna il confine tra Forino e Contrada. La conformazione morfologica dei luoghi però negano la possibilità che i Bizantini potessero scegliere quest'area per il loro accampamento. Altre supposizioni optano che questo fosse stato impiantato, e appare più plausibile, nella zona tra la collina di Bufoni e quella di San Nicola. I Bizantini avrebbero trovato un miglior riparo, venendo poi sorpresi dai Longobardi che, in numero inferiore, hanno sfruttato le colline per poter stringere ed annientare l’esercito bizantino. Uno dei motivi per cui è opportuno dare credibilità a questa ipotesi è la presenza, in questa zona, della Chiesa di San Giovanni De Celsis. La chiesa si trova a ridosso del Fosso delle Pescare, l'inghiottitoio naturale che si trova alle spalle della frazione Celzi e che tanti problemi crea quando il deflusso delle acque piovane non avviene regolarmente. Il posizionamento in un'area soggetta a periodici eventi alluvionali fornisce una lettura sulle sue caratteristiche di costruzione. Fotografie scattate dalle rampe della strada che conduce a Castello, ci indicano che la chiesa, nonostante sia stata testimone nei secoli di tante alluvioni, con conseguenti sversamenti di detriti e fango, è posta su una specie di tumulo la cui origine è certamente artificiale, e che quindi la difende da eventi estremi. Infatti quando l’acqua sale, la lambisce appena e quasi mai la raggiunge. Queste considerazioni ci inducono a raccontare di alcune strane leggende che circolano su questo edificio le cui origini si perdono nel tempo. I racconti fantastici dei vecchi coloni del terreno circostante narrano dei ritrovamenti a più riprese, in passato, di ossa umane ivi sepolte in grande quantità. Siamo entrati nel campo delle supposizioni, e nessun studio è stato posto in essere al riguardo, ma si potrebbe pensare che quel tumulo se fosse di origine artificiale, e dove posa le fondamenta la chiesetta, possa altro non essere che una grande fossa comune dove riposano i resti di chi combattè quella sanguinosa battaglia. A suffragio di questa ipotesi ci viene la titolazione della chiesetta, che ci ricorda la predizione dell'eremita a Costante II, trovando un suo fondamento per quelle che erano le tradizioni longobarde. Alla fine del VI secolo d.c., la regina Teodolinda volle che venisse costruita a Monza, residenza estiva della corte longobarda, una chiesa in onore di San Giovanni Battista. L'erezione di questa basilica assunse un importante ruolo simbolico e sacro nell'immaginario longobardo, tanto che nella succitata profezia l'eremita affermò che i Longobardi erano invincibili poiché protetti da san Giovanni, proprio grazie alla decisione di Teodolinda di costruire quella basilica in suo onore. Quindi i Longobardi, oltre alla devozione per San Michele Arcangelo, ne avevano un'altra certamente pari per San Giovanni. Questa nuova considerazione ci suggerisce che le leggende intorno a questa chiesetta possano avere un fondamento di verità. Tutti questi piccoli tasselli che fanno parte di un grande mosaico, e il fatto che a Forino coesistano ancora, dopo tanti secoli, i culti contrapposti di popolazioni così antiche quali le Longobarde e le Bizantine, rendono questa storia unica e affascinante. Ma credere che queste antiche rivalità non siano sopite è quantomeno una contraddizione. Ogni anno, di fronte la Chiesa dell'Annunziata, nei pressi del cimitero, avviene un fatto che è una riproposizione storica dei fatti del 663. Durante la processione che reca il simulacro di San Nicola, protettore di Forino, dal santuario sul colle alla chiesa di Santo Stefano, nel momento in cui le congreghe di Petruro (i cui abitanti, fedelissimi di San Michele, da sempre sono depositari di caratteristiche riconducibili alle popolazioni longobarde) prendono in consegna la statua dalle congreghe forinesi, il "votta votta" che si crea -che a volte è qualcosa di più di uno semplice spintone- ripropone all'osservatore una sorta di "scontro" fisico che ricorda gli antagonismi tra Bizantini e Longobardi.


Il "votta votta" davanti la Chiesa dell'Annunziata