Collegiata della SS Annunziata
Il viaggiatore che si trova a
raggiungere Forino non può non notare il vetusto tempio sito nelle
vicinanze del cimitero. Quanti sono coloro che avranno
riflettuto su quale fosse stato il suo aspetto passato, sul perché
fosse stata abbandonato e, in qualche modo, anche dimenticato?
Racconteremo quindi dell’antica Collegiata della SS Annunziata,
imponente costruzione che ha rappresentato sicuramente la massima
espressione
dell’edilizia religiosa forinese.
Un
siffatto tempio lontano dal centro abitato va sorgere più di una
domanda alla quale si cercherà di fornire una risposta. Nel XV secolo Forino e casali contavano
innumerevoli chiese, ma era la Chiesa di San Nicola, posta sul suo
colle, il punto di riferimento per la cura delle anime della
comunità forinese. Essendo in quel tempo i sacerdoti del Santuario
pochi e molto anziani, le autorità ecclesiali esposero
alla Santa Sede la necessità di trasferire la cura delle anime
della Chiesa di San Nicola in planitiae, perché fosse più
accessibile a tutti i casali. E infatti Papa Nicolò V, con bolla
datata 1 luglio 1452, concesse di trasferire la cura delle anime
nel piano. Nacque così, inglobando la preesistente Chiesa di San
Pietro, la cui origine risale al 1170, la Collegiata di San
Nicola e della SS Annunziata. Oltretutto il luogo dove venne
costruita la nuova chiesa era già utilizzato dall’Università di
Forino, antica istituzione feudale simile in molti aspetti
all’attuale organizzazione municipale, per le sue riunioni, che avvenivano
all’ombra dei grandi tigli da sempre li presenti. La nascita della Chiesa
dell’Annunziata coincide quindi con un periodo di decadimento per
la Chiesa di San Nicola e per il Castello, all’epoca ancora
residenza del feudatario appartenente alla potente famiglia
romana degli Orsini. La costruzione della nuova Chiesa determinerà
anche la creazione di spazi per l’alloggio di quest’ultimo, e che
ivi vi si trasferirà, in attesa del completamento del
palazzo feudale che oggi è conosciuto come Palazzo Caracciolo. La
chiesa è una costruzione a tre navate, e chi ha avuto la fortuna
di visitarla tanto, ma tanto tempo fa, ricorderà certamente
l’altare in marmo artisticamente decorato, lo spettacolare
pallioto e il coro in legno
finemente lavorato. La seconda grande guerra, ma soprattutto gli
uomini in tempi relativamente recenti, hanno fatto sì che tutto
questo scomparisse.
Così come il muro che delimitava il cortile antistante la chiesa,
abbattuto per chissà quale motivo. L’antico pannello ceramico
posto sul frontone dell’ingresso al cortile fu fortunatamente
messo in salvo, ed ora si trova custodito in un deposito della
Soprintendenza gestito dalla Pro Loco locale. La memoria degli
uomini ha parzialmente sepolto il ricordo dello splendore di
questo edificio. Il suo prezioso campanile, dove ancora giacciono
i sacri bronzi rifusi ed ivi posti negli anni Trenta
dell’Ottocento, soffre della sua età mostrando inequivocabilmente
i segni del tempo. Periodicamente si assiste ad un interessamento,
ad un tentativo di far rinascere quel luogo dove ancora insistono
alti tigli, discendenti di quello imponente che sino agli anni
Sessanta del Novecento era ammirato e ritenuto come uno dei più
antichi e imponenti alberi d’Italia. Siamo stati fortunati
testimoni, qualche anno fa, di un ripristino dell’area e della
sistemazione del locale sotto il campanile ad uso
di cappella, dove vi fu collocata una statua della Madonna di Fatima, e
dove trovarono sistemazione anche i banchi che si trovavano
nella chiesa del SS Rosario. Per qualche tempo è stato bello
rivedere frequentati quei luoghi, vedere i visitatori che si
recavano al cimitero deviare verso la chiesa e fermarsi in meditazione e preghiera per
qualche attimo, in quella cappella. Fu
finanche ripristinata l’antica usanza della Processione del 25 di
marzo, ordinata dalla già citata bolla papale del 1452. Al calare
delle tenebre, alla luce di fioche fiammelle, era come rivedere i
nostri avi pregare e decidere sul nostro futuro. E poi?
Dapprima, fu di nuovo chiuso il cancello con un catenaccio;
successivamente gli arredi esterni, offerti da alcuni privati,
furono rimossi da quella loro primaria occupazione e posti sotto
il filare di pini presente nel parcheggio antistante il cimitero.
Qui venne la fine di questa brevissima
epoca, come fu una
breve primavera la formazione di un comitato civico che doveva
promuovere uno studio di fattibilità per il restauro della chiesa.
Questa, sommariamente, è la sua storia. Ma ora, in che condizioni versa?
Il quadro è desolante. L’accesso alla chiesa e alle sue
pertinenze avviene tramite quella che per qualche anno è stata
la cappella precedentemente citata. Da questo locale, l’unica porta interna ci conduce
sotto la torre campanaria. L’abbandono dei locali è evidente, così
come evidente è il marcio delle travi che sorreggono le due
splendide campane. Al campanile vi si accede tramite una stretta
scala, coperta da un consistente strato di calcinacci. La salita si
presenta agevole sino alla porta d’ingresso che conduce in alcuni vani posti
in quella porzione di fabbricato che si trova tra il campanile e
la chiesa. Proseguire verso le campane è un rischio inutile, anche
se sarebbe bello poter osservare da vicino questi sacri bronzi.
L’affacciarsi dalle finestrelle viene precluso da arbusti
rigogliosi che negano la possibilità di ammirare il paesaggio,
come poteva avvenire sino a qualche anno fa. Si, ammirare il
paesaggio: perché quello di cui fino ad ora non abbiamo parlato è
l’indubbio fascino che compenetra l’animo di colui che riesce a
vedere oltre le mura in rovina. La sua collocazione, ogni pietra,
è un tuffo nel passato, è un elogio alla bellezza architettonica
minore raggiungibile tramite la religiosità popolare. Abbandonando
le suggestioni suggerite dai pensieri, e tornando a visitare
l’interno, nella sacrestia abbiamo finalmente la possibilità di
scorgere dei particolari architettonici che ci riportano agli
antichi fasti della chiesa, dovendo in seguito constatare,
purtroppo, che questi sono tra i pochi ancora visibili. Parliamo
del soffitto e delle sue decorazioni, dove rosoni recanti al
centro dei fiori stilizzati completano il complesso del soffitto
caratterizzato da degli archi che richiamano motivi ispirati al
gotico. In un angolo di questa stanza, fino a qualche anno fa,
erano conservati, volendo essere benevoli nel ritenerlo tale, una
parte dei marmi che erano parte integrante dell’altare. Ora ne
rimane solo qualche pezzo, e non crediamo che il restante si sia
semplicemente sbriciolato. E si giunge, all’interno della chiesa.
Lo spettacolo che ci si presenta è allo stesso tempo magnifico e
desolante. Magnifico per l’imponenza, nel panorama dell’edilizia
sacra forinese, della struttura, a tre navate. Nelle navate
laterali, un tempo, erano ospitati vari altari, tra cui quello
municipale, in corrispondenza dell’antichissima chiesa di San
Pietro. Qua e la frammenti di decorazioni ceramiche appartenenti
alla pavimentazione, tanta umidità e tanti segni di scavo. Ecco lo
spettacolo desolante. E’ evidente che la chiesa negli ultimi anni
è stata oggetto di attenzioni particolari. Era costume,
sino all’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804, inumare i
morti nelle cripte delle chiese, e a questa regola non sfuggiva
neanche la chiesa dell’Annunziata. E’ facile immaginare, quindi,
che tali scavi siano l’opera di un tombarolo a caccia di chissà
quali tesori, presenti solo nella sua torbida immaginazione. In
mezzo a tale sfacelo non può passare inosservato un altro
particolare. Nella zona alle spalle di dove sorgeva l’altare c’è
una piccola botola, con una scala in pietra che conduce
all’interno della cripta. Ora questo passaggio risulta
completamente ostruito da materiale che non è il caso, in questo
contesto, di descrivere. Fino a qualche anno fa era possibile
notare la presenza di sedili-scolatoi
dove venivano riposti i resti mortali di chi veniva li sepolto.
Alla fine di questo breve tour in una Forino dimenticata, l'unica
considerazione da formulare è che la Chiesa dell'Annunziata altro non è che l’esempio
di tante battaglie perse, nella preservazione dello stato dell’arte
forinese. |