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Origine del culto di San Nicola a Forino
 

Cenni sulla Vita di San Nicola
Affrontare la descrizione della vita di un Santo, per di più seguendo le vaghe tracce da lui lasciate nel tempo, tracce che rasentano più la leggenda che la verità storica, risulta piuttosto ostico. D’altronde ciò è ostico anche per chi volesse tracciarne una biografia ufficiale, sia perché dall’anno presunto della sua nascita, a quello in cui furono stese le prime notizie attendibili, passarono più di quattro secoli; sia perché le Vite scritte in seguito, più che fornire dati biografici veri, hanno illustrato i prodigi e i miracoli a lui attribuiti. E gli stessi prodigi, in seguito si é saputo che sono stati fatti slittare su di lui dalla Vita di un altro Nicola, vissuto tre secoli dopo, archimandrita del monastero della Santa Sion e vescovo di Pinara, cittadina non lontana da Myra. Affondiamo, quindi, nel buio storico dei primi secoli cristiani. Qui però non si ha la presunzione di voler scrivere della vita di questo Santo, ma c’è semplicemente la volontà di tracciarne un profilo nel suo intreccio con la storia forinese. Seguendo le tracce “ufficiali”, si viene a conoscenza che San Nicola, patrono di Forino (anche se nel mondo è ovviamente conosciuto come patrono di Bari), nacque a Patara da genitori certamente benestanti, intorno al 255. Santo universale, venerato in Oriente ed in Occidente, è segno di unità nella Chiesa, simbolo di pace e riconciliazione fra gli uomini. In quei tempi Patara era, assieme a Myra, la più importante città portuale della Licia, storica regione costiera dell’attuale Turchia, ed era famosa per un santuario in onore di Apollo. La sua fu una gioventù vissuta in modo pio e morigerato nel disprezzo delle mondanità, in un periodo storico caratterizzato dal governo dell’Impero Romano da parte degli imperatori Probo prima, e Diocleziano in seguito. Nulla però si conosce circa il suo ambiente familiare, in riguardo alla sua cristianità, rimanendo quindi dubbiosi circa una sua nascita come cristiano o come il suo credo sia invece derivato da una conversione. Questo vuoto è imputabile alla perdita di una “Vita” scritta intorno al 400-410 da un anonimo, e successivamente letta nel 582 da Eustrazio, sacerdote di Costantinopoli, dopo di che se ne perdettero le tracce.

Nel IV secolo fu vescovo di Myra in Lycia, dimostrandosi pieno di sollecitudine pastorale verso gli indigenti, i deboli e i perseguitati. Il suo ministero si svolse soprattutto al tempo di Costantino il Grande, ma si presume che abbia sofferto per le persecuzioni di Diocleziano e di Licinio. Pastore pieno di carità, attento ai bisogni spirituali e materiali dei suoi fedeli, si sarebbe impegnato nella lotta all'idolatria e alle eresie. Morì probabilmente qualche tempo dopo aver partecipato al Concilio di Nicea del 325, si suppone intorno al 334. Alla sua morte, le spoglie vennero deposte a Myra fino a quando, nel 1087, un gruppo di marinai baresi travestiti da mercanti le trafugò e le portò a Bari dove sono tutt'ora conservate nella Basilica al Santo dedicata (ma di questo ne parleremo in seguito). Il culto di questo santo, riconosciuto universalmente come taumaturgo, ebbe larga diffusione sia in Oriente che in Occidente. La sua vita, poco documentata storicamente, è stata nel tempo arricchita da numerose leggende. Una tra le più famose e più rappresentate dalla iconografia europea è quella narrata dal greco Michele Archimandrita (IX secolo) e confermata da Dante nel Purgatorio (XX, 31-33). Un nobiluomo ridotto alla miseria impossibilitato a sposare le sue tre figlie giovanissime, decise di farle prostituire. Nicola, per evitare un simile sacrilegio, decise di intervenire lanciando per tre notti consecutive (questa è una versione, altri scrivono di giorni molto lontani tra loro), attraverso una finestra, i tre sacchi di monete che avrebbero costituito la dote delle ragazze. La prima e la seconda notte le cose andarono come stabilito. Tuttavia la terza notte San Nicola fu “colto sul fatto” dal genitore grato a questo benefattore dal cuore così nobile. Inoltre vengono ricordati il soccorso tempestivo ai navigatori pericolanti, la prodigiosa provvista di granaglie per la popolazione affamata, i suoi interventi a favore degli innocenti avviati alla condanna capitale e sottratti agli ufficiali di Costantino. Risponde meglio alla verità storica, la sua coraggiosa difesa della fede cristiana in un ambiente ostile e pagano. Un riferimento rilevante, anche se controverso, da parte dello storico bizantino Teodoro il Lettore, é costituito dalla citazione di Nicola nella lista dei 318 Padri del concilio primo di Nicea celebrato nell’anno 325. Ma c’e chi dubita perfino che fosse vescovo, e di Myra, in quanto all’epoca di Costantino la cittadina era ancora troppo piccola per essere designata a sede vescovile. Anche l’attribuzione di tendenze monastiche e mistiche è fuori tempo e fuori quadro, in quanto egli in quel periodo dovette piuttosto impegnarsi nella lotta contro gli avversari della fede, gettandosi nella mischia. Costantino aveva rivalutato molto la figura dei vescovi, considerati giudici nelle controversie anche civili e mediatori di pace e di giustizia. Dunque, gli scrittori sacri cominciarono a interessarsi di lui subito dopo la morte (334?), non tanto della sua santità, ma degli episodi edificanti divulgati attraverso la Praxis de stratelatis, che a Roma furono noti fin dal secolo VI. Questo testo, di anonimo, lo presenta come uomo dal carattere energico e caparbio, coraggioso assertore della vera giustizia. Frenò in Myra l’azione non corretta degli ufficiali dell’imperatore, e in particolare il modo di fare dei soldati soggetti ai generali, ristabilendo la convivenza pacifica con la popolazione. Il culto del santo si diffuse nell’ambiente greco a partire dal secolo VI-VII; in seguito il Santo entrò a far parte anche del Passionario Romano che costituisce il più antico testo integrale su Nicola di Myra, ricordato insieme ad altri cinquanta santi. Questo è il San Nicola di Myra che più direttamente si riallaccia con quello venerato nella più famosa Basilica di Bari, e questo è quello che più cronologicamente si avvicina al San Nicola il cui culto venne probabilmente introdotto nel territorio forinese sin da quando iniziò a influenzare la società greco-bizantina del tempo. Questa precisazione è dovuta perché in Italia esiste un’altra basilica dedicata al culto di un San Nicola orientale, e più precisamente a Venezia la Basilica di San Nicolò, nella quale vengono anche li conservate spoglie mortali del Santo. Per avere idee più chiare su questa “confusione” vi rimandiamo agli scritti degli studiosi della materia, anche se è possibile, a quanto pare, dopo delle “ricognizioni” dei resti, che alcune ossa del Santo che riposa a Bari sia possibile siano frammiste a quelle del Santo venerato a Venezia. Vi sono possibilità concrete che questa ipotesi sia veritiera, in quanto lo scheletro barese è incompleto, e la storia recita anche di una traslazione dei veneziani posteriore a quella dei baresi di circa un secolo.

Origine del culto di San Nicola a Forino
Mentre sulle coste della Licia il nostro Protettore muoveva i suoi passi verso gli onori degli altari derivanti dalla sua testimonianza di fede, Forino doveva essere un nodo viario di una certa importanza nell’ambito della Campania Felix. In quei tempi erano in corso i lavori di restauro di quell’acquedotto la cui costruzione fu per lungo tempo fu attribuita all’imperatore Claudio, ma che una stele ritrovata presso le sorgenti di Serino nel 1938 ricondusse all’epoca di Augusto. Il consistente restauro dell’acquedotto, voluto dall’imperatore Costantino (317-326), avvenne tra il 323 e il 324 D.C., appena un anno prima del Concilio di Nicea (325, e di cui si conserva una tela settecentesca raffigurante l’evento nella Chiesa di Santo Stefano). Tenuto conto della complessità dell’attraversamento della piana di Forino, che avveniva completamente in galleria, è da immaginare che si siano creati anche in questo periodo degli accampamenti per le maestranze, i
praepositus aquaeductus e i curator aquarium, nella piana di Forino, oltre gli insediamenti stabili dei residenti. Se è vero come si ipotizza che il Praetorium della vicina Abellinum, anche se la distanza appare eccessiva, incideva nell’attuale area di Petruro, abbiamo un discreto “popolamento” della zona in quel periodo. Inoltre, aprendo una parentesi e sbirciando il lavoro degli studiosi di toponomastica, veniamo condotti a considerare alcune ipotesi sul nome del nostro paese, e quindi sulla sua origine.

Seguendo gli scritti dello Scandone, ripresi poi anche dai nostri storici locali Tornatore e Vespucci, veniamo a conoscenza come scritto precedentemente dell’esistenza del praetorium di Abellinum nella zona della nostra Petruro. Sappiamo anche che grandi latifondi di patrizi romani insistevano nella zona del nemus corilianum, il grande bosco di alberi di nocciolo e castagno che copriva una vasta area, dalla nostra valle sino a Montemiletto e oltre. In questi grandi latifondi, come testimoniano vari toponimi locali, insistevano delle villae che ospitavano fattori e schiavi dediti al lavoro agricolo. Generalmente gli schiavi erano gente deportata da altre aree o anche dei delinquenti ridotti ai lavori forzati. I vari ritrovamenti effettuati nella valle di Forino (in località Parianico, Tora, Martignano, Pezze, Petruro e, ultima in ordine di tempo, il doile ritrovato nel centro di Forino) rafforzano le teorie di romanizzazione dell’area, ma sono anche punto di partenza per la ricerca di reperti di epoche più remote. L’interpretazione etimologica sul significato e sulle origine del nome di Forino, quindi, sono state sempre motivo di confronto tra i vari storici. La più probabile è quella che vuole il nome derivato da forum, inteso come luogo di contrattazione e di incontro, piazza, mercato (divagando ulteriormente ricordiamo che sino alla fine degli anni ’30 del secolo scorso Forino era importante piazza per il mercato del bestiame). Un’altra tesi promuove la possibilità di far derivare il significato di forum come “buco, foro”, adducendo come motivazione la presenza dello scolo naturale delle Pescaie; questa tesi però non trova né riscontro né sostenitori nello studio dei latinisti. Qualcuno come il Tornatore, invece, propende per una derivazione da Flos, floris. Però questo possibile significato ha una derivazione troppo tarda, e serve semplicemente a giustificare l’araldica, conseguenza logica dell’influsso aragonese e della signoria degli Orsini, e non può essere presa in considerazione. L’ultima ipotesi parla della derivazione dal latino furs, furis ovvero ladro, furfante. Fatto salvo l’onore di tutti noi Forinesi, è universalmente conosciuto il fatto che in ogni gregge c’è una pecora nera. Ma non credo che questo si possa riferire ai Forinesi in quanto tali, ma considerando che molto probabilmente in epoca romana Forino ospitava il luogo di amministrazione della giustizia di Abellinum, e che nelle varie fattorie dislocate nel territorio i lavoratori erano sì schiavi, ma anche galeotti, ci pare che di poter affermare che quest’ultima ipotesi non pare così priva di fondamento. Gli anni seguenti al regno di Costantino furono quelli che indicarono la via del tramonto al grande impero romano. Si fecero più pressanti le invasioni barbariche, le quali misero a dura prova i confini dell’impero, e nel 395 ci fu anche la prima divisione tra l’Impero Romano d’Occidente, affidato al barbaro Stilicone Onorio, e d’Oriente, affidato ad Arcadio sotto la tutela di Rufino. Nel 476, dopo numerose invasioni e mille battaglie cade l’Impero Romano d’Occidente. E’ la fine di mille anni di storia caratterizzati dalla nascita e dalla potenza di Roma nel mondo allora conosciuto, ed è l’inizio di un periodo oscuro dominato dal caos e dalla paura. Chissà in che modo Forino e i suoi abitanti attraversarono questo momento buio della storia. E’ certo che la religione cristiana era ancora lontana da una penetrazione completa tra il popolo, in quanto documenti stilati nel VII secolo nelle nostre contrade recano al posto della croce dopo la firma, e quindi simbolo di cristianità, un triangolo, testimoniando che il paganesimo era ben lontano dall’essere abbandonato. Roma da molto tempo aveva smesso di essere il centro dell’impero, in quanto Costantino aveva spostato la capitale dello stesso nella meno antica Bisanzio, ma collocata in un punto strategico per i suoi interessi, e la ribattezzò Costantinopoli. Ed è da li che qualche anno dopo, l’imperatore Giustiniano pensò che fosse giunto il momento di restaurare i fasti dell’antico impero, imbarcandosi in una serie di guerre di riconquista dei territori che oramai da quasi un secolo erano in mano alle popolazioni barbare, cominciando quella che fu definita la guerra greco-gotica (535-553). Pensò quindi di inviare in Italia, nel 535, il suo generale Belisario, il quale intraprese la campagna di riconquista dei territori in mano ai Goti. Fu per l’Italia, la guerra gotico-bizantina, una rovina. Belisario dopo le prime effimere vittorie, accusò varie sconfitte, e quindi il territorio passò da un dominatore all’altro senza soluzione di continuità. Il territorio di Abellinum fu tenuto da Belisario solo pochi anni (536-539), per poi essere ripreso da Totila (543), che distrusse tutte le opere di difesa in esso esistenti per impedirne ai Bizantini la rioccupazione. Per i Goti fu facile rioccupare il territorio, in quanto le popolazioni indigene, stremate dal fiscalismo bizantino della prima occupazione si erano date a Totila che era riuscito ad avere il loro appoggio ma che poi operò radicali distruzioni lasciando fortificate solo Napoli e Cuma. Dopo quindici anni di lotte, Giustiniano si convinse di richiamare Belisario che non aveva, in fondo, combinato granchè, e inviò il generale Narsete. In soli due anni di campagna questo generale riuscì ad annientare i Goti, e a riportare quindi l’Italia nell’Impero. E fin dal 552, dopo che i Goti riportarono una sconfitta ad opera delle truppe bizantine sui monti Lattari ebbe, così, inizio l’epoca della dominazione bizantina dell’Italia meridionale. Da precisare che Narsete e le sue truppe sostarono per più di un anno (553) nella piana tra il fiume Sarno e Montoro. Una curiosità odierna è data dalla presenza nel comune di Montoro Inferiore, più precisamente nella frazione di Piazza di Pandola del toponimo Campo dei Greci. Ed ecco l’anello di congiunzione tra San Nicola e la nostra terra: precedentemente si è accennato a come si sia diffuso il culto del Santo tra la gente greca tra il VI e il VII secolo. E’ evidente che quindi anche gli abitanti della valle di Forino in questo periodo hanno appreso della sua esistenza ed abbiano iniziato a conoscere le mirabili opere di questo Santo, rimanendone affascinati. Divagando con l’immaginazione, ci pare di assistere alle cavalcate dei drappelli bizantini per le valli circostanti il loro accampamento. Erano sicuramente attirati da quel piccolo monte che dominava la valle di Montoro e che era un adatto punto di osservazione per scrutare il nemico lontano, che poteva coglierli di sorpresa alle spalle. Ed è quindi in questo periodo, come ci narra la tradizione orale ripresa dal primo estensore di una storia di Forino, il padre Antonio Girolamo Tornatore, che nei pressi del castello, posto sul colle a guardia della valle dell’Irno, si iniziò a venerare il Santo, “… la cui rozza immagine, sospesa ad un albero, raccoglieva intorno a se i pochi abitanti...”. Viene scritto pochi abitanti: potrebbe anche darsi, ma questa è solo una considerazione personale, che la nostra valle, dopo aver ospitato insediamenti romani per tantissimi anni, abbia subito nel periodo “buio” di quei anni uno spopolamento, e che quindi, con l’arrivo dei bizantini, gruppi di questi abbiano deciso di stanziarsi in questa zona, visto che era costume del tempo premiare le truppe con l’assegnazione di appezzamenti di terreno da destinare all’uso agricolo. E certamente le nostre valli, oltre ad essere comprese, come detto in precedenza, nell’antico nemus corilianum, erano sicuramente molto fertili per via delle ceneri vulcaniche che le eruzioni del Vesuvio periodicamente avevano deposto. Però la pace e la prosperità non regnarono eterne nel territorio di Forino, nè nelle contrade circostanti. I Bizantini completarono il lavoro di distruzione iniziato da Totila con la distruzione di Abellinum, la quale da allora fu abbandonata, dando inizio ai tempi bui della loro dominazione (555-571), caratterizzata da un esoso fiscalismo. Poi alcune carestie e le eruzioni del Vesuvio fecero il resto. Per la scomparsa di Abellinum e per la peculiarità difensiva del bacino a vantaggio di chi cercava scampo dalla pianura e dalla costa, Forino entrò nell’orbita di Salerno. Venne cioè a far parte di quell'area gravitante sulla città che visse per lungo tempo una simbiosi particolare con essa e che vide in questo periodo la costituzione dei distretti pievani che sono territori organizzati intorno ad una chiesa matrice. Negli angoli più riposti di quest'area il cristianesimo delle origini non scomparve, anzi tra il fallimento del mondo romano e gli sconvolgimenti delle invasioni fu l’unico sostegno per le popolazioni isolate nelle campagne. E fu in questi ambienti che andò formandosi, come in tutte le comunità postcristiane, quel sincretismo di cristianesimo e paganesimo che è il substrato della religiosità popolare in cui i comportamenti pagani, depurati dall’aspetto religioso, si trasformarono in atti consuetudinari permettendo al cristianesimo di assorbirli in sé. Ciò avvenne per il culto dei santi e degli angeli che sostituì il bisogno pagano di quella serie di dei minori che accompagnavano l’uomo dalla nascita alla morte e portò alla pratica di porre croci o piccole cappelle nei luoghi della vita quotidiana, campi o case, per porli sotto la protezione divina. In questo territorio ad ampia diffusione romana, in cui non potettero non esserci luoghi di culto pagano secondo un'esigenza fortemente avvertita dalla realtà rurale e in cui si era introdotto il cristianesimo delle origini, avvenne la trasformazione dei sacelli romani in luoghi di preghiera cristiani. Di essi fu matrice e nucleo la pieve che è una chiesa di campagna che esiste là dove ci sono questi semplici luoghi di culto sparsi e che dette origine al distretto pievano. Questo spiega il perché di tante chiese forinesi dislocate in luoghi decentrati rispetto ai centri abitati. Intanto, all’orizzonte nuove guerre allungavano le loro tenebrose ombre sull’Italia. Nell’anno 568 fecero la loro apparizione sul suolo italiano i Longobardi, che scesero fino al meridione, occupando con le armi alcuni territori nel napoletano e fondando nel 570 il Ducato di Benevento. Anche Forino passò sotto la dominazione longobarda ed ebbe a capo uno sculdascio. Ancora anni bui per Forino? Non sembra: gli “invasori” Longobardi non dovettero essere particolarmente feroci, anche se la storia ci ha tramandato episodi a loro attribuiti tali da far inorridire. Nonostante tutto, il culto di San Nicola è rimasto, anche se erano stati veramente pochi gli anni intercorsi tra la riconquista bizantina e l’invasione longobarda perché si potesse talmente radicare nel territorio il culto del vescovo di Myra. Anzi, a tal proposito, e conoscendo le tradizioni locali, viene da pensare che due comunità in quei tempi ben distinte, riuscissero a coesistere nella vallata forinese. Magari, anzi, sicuramente con il tempo le comunità si saranno frammiste grazie a matrimoni, ma se riescono a coesistere due culti così remoti, come quello di San Nicola introdotto dai Bizantini e quello di San Michele Arcangelo, protettore delle genti longobarde si evince che nonostante tutto le popolazioni non furono tra di loro particolarmente bellicose. A sostegno di queste ipotesi vanno due fatti: il primo lo fornisce la storia del Tornatore, che riporta una notizia 586, circa una contesa sorta, il giudice Amato interrogò “etiam Sacerdotem ac Recorem Ecclesiae S. Nicolai propre Furino”. Questa è la prima menzione circa l’esistenza, se non del santuario, di una chiesa titolata al Vescovo di Myra. E quindi stiamo parlando di 34 anni dalla sconfitta dei Goti e dal ritorno dei Bizantini, e di soli 16 anni dalla costituzione del Ducato di Benevento. Inoltre, secondo fatto, va ricordato l’accordo del 598, con il quale al Papa Gregorio I viene facilitata l’opera di conversione al cristianesimo cattolico delle genti longobarde. Nonostante questo apparente stato idilliaco delle cose, i Bizantini non rinunciarono all’Italia, dopo qualche decennio (662) Costante II tentò, d’accordo con i Franchi, di rimpossessarsi dei territori peninsulari. Nel 663 i Bizantini sbarcarono a Taranto, ed ebbero vita abbastanza facile nei loro movimenti in Italia anche se… C’è un se in questo movimentato periodo che sarebbe stato preludio di una rinnovata alternanza nell’appartenenza del territorio forinese ora al Principato di Salerno, ora al Ducato di Benevento. Un avvenimento che è rimasto scolpito nella pietra, o meglio, è stato messo nero su bianco da un attento studioso dell’VIII secolo, tale Paolo da Cividale, passato poi alla storia come Paolo Diacono, estensore dell’ Historia Longobardorum. Opera dotta e attenta riguardante la storia di questo popolo, e mezzo per mostrare la loro consapevolezza del ruolo svolto nella storia come veri eredi della civiltà classica e cristiana. Dicevamo del se: le truppe bizantine non incontrarono particolari resistenze finché non si trattò di assediare Benevento. E lì gli impedimenti alla sua marcia furono molteplici: prima di tutto la resistenza di Romualdo, il principe del ducato beneventano, che tenne duro fino all’arrivo dei soccorsi guidati dal padre Grimoaldo. Costante pensò bene di abbandonare l’assedio di Benevento e di ripiegare verso la già sottomessa Napoli. Giunto l’imperatore a Napoli… “uno dei suoi ottimati di nome Saburro, come si narra, chiese ad Augusto ventimila uomini e promise che avrebbe affrontato vittoriosamente Romualdo. Ottenuto l’esercito e giunto in un luogo chiamato Forino (ad locum cui Forinus nomen est), vi pose l’accampamento. Grimoaldo, che era già arrivato a Benevento, non appena lo seppe, decise di muovergli contro. Gli disse il figlio Romualdo: ’Non c’è n’è bisogno; dateci soltanto una parte del vostro esercito. L’affronterò io, con l’aiuto di Dio, e quando avrò vinto sarà data maggior gloria alla vostra potenza’. Così avvenne. Ricevuta una parte dell’esercito del padre, insieme a suoi uomini, marciò contro Saburro. Prima di attaccare battaglia, fece suonare le trombe in quattro direzioni, e subito si lanciò con audacia su di loro. Mentre i due schieramenti combattevano con accanimento, uno dell’esercito del re, di nome Amalongo, che di solito portava il vessillo del re issato sulla lancia, percosse forte con quella stessa lancia, a mani unite, un greco, lo prese dalla sella su cui cavalcava e lo sollevò per aria sopra il suo capo. Vedendo ciò, l’esercito dei Greci, preso all’improvviso da immenso terrore, si volse in fuga, e fatto rovinosamente a pezzi, fuggendo procurò a sé morte, a Romualdo e ai Longobardi vittoria. Così Saburro che aveva promesso al suo imperatore il trofeo della vittoria sui Longobardi, ritornando a lui con pochi uomini, gli recò l’ignominia. Romualdo, invece, ottenuta la vittoria sui nemici, ritornò trionfante a Benevento e procurò gioia al padre e a tutti sicurezza, eliminando la paura del nemico” (Historia Longobardorum, Libro V, 10). Diciamo che, finalmente, per qualche anno questa epica battaglia procurò una certa tranquillità ai forinesi del tempo, anche se furono sempre al centro delle dispute dei nobili longobardi di Salerno e Benevento. Forino si trovava su un asse difensivo formato dai castelli di Monteforte, Forino, Solfora, Montoro, Rota (Mercato San Severino), Castel San Giorgio e altri, ed era logico che facesse sempre comodo averlo dalla propria parte. Tornando alla battaglia, che la tradizione vuole sia stata combattuta l’8 di maggio, anche se non ve ne è certezza storica, i Longobardi pensarono bene di erigere in quei luoghi uno dei santuari che fanno parte del culto micaelico, inserito in quella traiettoria che va dal Tirreno all’Adriatico e segnata da numerosissimi santuari o chiese rupestri dedicate a San Michele Arcangelo, loro protettore. La posizione della grotta sul Monte Faliesi fa’ pensare che la battaglia si sia combattuta nella zona che segna il confine tra Forino e Contrada, più precisamente dove ora è stato insediato il PIP del comune di Contrada. Ma non sembra essere un luogo adatto per un accampamento, quindi altre supposizioni optano che questo fosse stato posto, e appare più plausibile, nella zona tra la collina di Bufoni e quella di San Nicola, e che quindi i Longobardi, in numero inferiore, abbiano potuto sfruttare le colline per poter stringere ed annientare l’esercito bizantino. Altro luogo, simile per caratteristiche, potrebbe essere l'area di Martignano, alle falde dei monti Piana e Romola, dando così giustificazione alle ipotesi che vogliono la nascita della chiesa campestre di Santa Maria Castro Forini al centro di un accampamento bizantino. Diciamo che questa divagazione ci è servita per avere l’idea di quali fossero i rapporti tra i due popoli, anche se la diplomazia alla fine determinava esiti che potevano essere differenti da quelli delle battaglie. Intorno all’830 Forino divenne un gastaldato e fu affidato a Goffredo, grazie al quale divenne un importante centro culturale, sede notarile e sede giudiziaria. Roffredo, aspirando al trono di Benevento, intraprese una lunga lotta con Adalferio. La pace si raggiunse grazie all’intervento di Ludovico II nell’849, allorché si operò la divisione dei territori, includendo Forino nel principato di Salerno. La necessità di uno schieramento difensivo sul confine fece assumere a Forino un’importanza strategica, da cui derivò la decisione di costruirvi un gastaldato, cioè un distretto militare importante (Castaldatum Furini). In questo periodo fu ampliato e fortificato il castello che in epoca bizantina era stato costruito come un semplice fortilizio. Fu in questa fase che venne destinata all’uso di cappella per il culto di San Nicola quel locale che ora trovasi all’esterno del santuario, sulla sinistra, che per lungo tempo noi abbiamo ricordato come un ossario e che ora è diventato un ripostiglio per le scope. La pace imposta da Ludovico II con la spartizione del territorio tra il principato di Benevento ed il principato di Salerno non durò a lungo perché sorsero nuove mire egemoniche. Il Castaldatum Furini, vedetta di tutto lo schieramento difensivo del principato salernitano, fu campo di scontri militari con le truppe del principato beneventano che combattevano contro le milizie salernitane per i vari tentativi di annessione di altri territori. Intorno all’anno 850 il territorio di Forino dopo diversi anni di guerra tra il Ducato di Benevento ed il Ducato di Salerno, passò alle dipendenze del principe di Salerno Guaiferio. Costui ebbe guerra da Sergio duca di Napoli, il quale sguinzagliò i terribili Saraceni in tutto il principato. E’ rimandata a questa epoca una delle prime leggende circa i tanti miracoli che hanno salvato Forino, grazie all’intercessione del nostro Protettore. Narra lo storico Pellegrini (T. IV pag. 399) che “…i Saraceni fecero molte stragi molte stragi a Montoro e, mentre marciavano verso Forino, videro il suo castello e la montagna che lo circonda, piena di soldati ed allora spaventati tornarono indietro”. Questa apparizione, oppure questa clamorosa ritirata, fu vista come un portentoso miracolo di San Nicola, sicuramente il primo che la tradizione locale tramanda. I racconti orali ci narrano che “il ringraziamento da parte del popolo forinese al Santo Protettore per lo scampato pericolo fu dei più sontuosi. Infatti, il popolo tutto, decise di far costruire accanto alla rozza cappella eretta al tempo dei greci, un nuovo tempio a tre navate con travertino della porta di pregevole valore artistico, che ancora oggi è possibile ammirare.”. E’ forse in questo periodo che si iniziò, quindi a trasformare il castello in chiesa? E’ una leggenda, e come tale è da prendere con i dovuti distinguo. Nel 968 vi fu un nuovo attacco delle truppe bizantine che, avendo occupato il ducato di Salerno, estesero il proprio dominio anche su Forino. Dopo qualche anno Ottone, avendo ripreso la guerra e sconfitto i bizantini, nel ricostruire il ducato di Benevento e Capua, estese il suo dominio anche sul principato di Salerno e quindi su Forino. Verso il 990 una guarnigione militare composta da guerriglieri normanni giunsero nel territorio di Salerno e le truppe con a capo Guglielmo il Normanno si impadronirono di Forino. La narrazione orale attribuisce a questo periodo la collocazione nella chiesetta adiacente al castello dell’antica statua di San Nicola, quella trafugata nel 1976. la descrizione che ne da’ il Tornatore è che il Santo “… vi è effigiato nei suoi paludamenti vescovili e seduto, in atto di benedire. Il volto ha un po' dell' irato. L' artista volle ritrarlo forse nell' atto in cui ammonisce Ario e difende la divinità di Gesù Cristo. L'immagine, tutta in legno, è finemente lavorata…”.

Traslazione dei resti di San Nicola dalla Turchia a Bari
A questo punto, giunti intorno all’anno Mille, dobbiamo allontanarci nuovamente da Forino per capire cosa stava succedendo in una grande città costiera dell’Adriatico, la città di Bari, quella che ospita i resti mortali del nostro Protettore. Verso la fine dell’XI secolo, quando erano ormai lontani i funesti presagi legati al passaggio al nuovo millennio, Bari ebbe un decadimento sotto il profilo del prestigio, in quanto la conquista normanna (1071) le fece perdere i privilegi derivanti dal fatto di essere la capitale dell’Italia greco-bizantina. Si pensò allora di mantenere alto il prestigio in chiave religiosa. All’epoca l’importanza di una città si misurava, oltre che con le ricchezze o i possedimenti, anche con la capacità di impadronirsi delle reliquie di santi famosi disperse nelle terre degli infedeli.

Fu così che nel 1087 i baresi organizzarono l’impresa per portare nella loro città le reliquie di San Nicola. Al termine di operazioni commerciali ad Antiochia, sulla via del ritorno tre navi baresi attraccarono al porto di Myra. Mentre quindici marinai rimanevano di guardia alle navi, gli altri s’incamminarono per poco più di due chilometri ed entrarono nella chiesa ove Nicola era sepolto. Bloccati i pii monaci che volevano correre a Myra per avvertire la popolazione (anche se a quei tempi, in Sarracinia, era difficile che si potessero incontrare pii monaci…), ruppero il sarcofago e presero le reliquie, consegnandole ai due sacerdoti della spedizione, Lupo e Grimoaldo. I primi giorni della navigazione di ritorno furono disastrosi, tanto che qualcuno pensò di riportare le reliquie dove le avevano prese. Ma quando cinque dei marinai rimisero a posto alcune delle reliquie rubate, il viaggio riprese speditamente. Il 9 maggio del 1087 le reliquie entrarono trionfalmente a Bari. Inizialmente vi furono dei contrasti con l’arcivescovo a proposito del luogo dove conservare il corpo di Nicola. La difficoltà fu superata con la decisione di edificare una splendida basilica nell’area che era stata la residenza dei governatori bizantini. L’incarico di dirigere i lavori fu affidato all’abate Elia, del monastero di San Benedetto di Bari. La fama di San Nicola fece sì che i più celebri cavalieri della prima crociata passassero nell’ottobre del 1096 a rendere omaggio al Santo, prima di partire per Costantinopoli e Gerusalemme. A tal proposito è opportuno ricordare che anche Forino fu, all’inizio del XIII secolo, interessata dal passaggio dei volontari che si recavano a combattere in Terra Santa, e a tal uso sorse nel Casale della Contrada, allora parte integrante del feudo forinese, un ospizio per i “pellegrini”, e da questo ospizio poi il luogo prese il nome il Casale Ospedale (Hospitale). Esso trova le sue radici nella presenza in quel luogo di uno dei più antichi ospedali sorti nella nostra regione. Difatti già nel 1170 lo troviamo citato fra i confini di una terra “…ubi Porka dicitur propinquo ipso spitale…”. Molto probabilmente questo ospedale andò in rovina agli inizi del XIII secolo, e successivamente riedificato. Si è scritto, prima di inquadrare temporalmente la trasformazione da San Nicola di Myra a San Nicola di Bari, che la liberazione dai Saraceni fu avviata la costruzione del Santuario posto sul colle ora omonimo. E’ forse da inquadrare in questo periodo storico la decadenza del Castello di Forino? Oppure, come citano altre fonti, bisogna attendere il periodo del predominio normanno (1100 circa), se non molto più tardi, nel XV secolo? E’ uno dei quesiti a cui una risposta concreta si può solo dare continuando ad analizzare lo svolgersi degli eventi.
 
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