Origine del culto di San Nicola a Forino
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Cenni
sulla
Vita
di San
Nicola
Affrontare
la
descrizione
della
vita
di un
Santo,
per di più
seguendo
le
vaghe
tracce
da lui
lasciate
nel
tempo,
tracce
che
rasentano
più la
leggenda
che la
verità
storica,
risulta
piuttosto
ostico.
D’altronde
ciò è
ostico
anche
per
chi
volesse
tracciarne
una
biografia
ufficiale,
sia
perché
dall’anno
presunto
della
sua
nascita,
a
quello
in cui
furono
stese
le
prime
notizie
attendibili,
passarono
più di
quattro
secoli;
sia
perché
le
Vite
scritte
in
seguito,
più
che
fornire
dati
biografici
veri,
hanno
illustrato
i
prodigi
e i
miracoli
a lui
attribuiti.
E gli
stessi
prodigi,
in
seguito
si é
saputo
che
sono
stati
fatti
slittare
su di
lui
dalla
Vita
di un
altro
Nicola,
vissuto
tre
secoli
dopo,
archimandrita
del
monastero
della
Santa
Sion e
vescovo
di
Pinara,
cittadina
non
lontana
da
Myra.
Affondiamo,
quindi,
nel
buio
storico
dei
primi
secoli
cristiani.
Qui
però
non si
ha la
presunzione
di
voler
scrivere
della
vita
di
questo
Santo,
ma c’è
semplicemente
la
volontà
di
tracciarne
un
profilo
nel
suo
intreccio
con la
storia
forinese.
Seguendo
le
tracce
“ufficiali”,
si
viene
a
conoscenza
che
San
Nicola,
patrono
di
Forino
(anche
se nel
mondo
è
ovviamente
conosciuto
come
patrono
di
Bari),
nacque
a
Patara
da
genitori
certamente
benestanti,
intorno
al
255.
Santo
universale,
venerato
in
Oriente
ed in
Occidente,
è
segno
di
unità
nella
Chiesa,
simbolo
di
pace e
riconciliazione
fra
gli
uomini.
In
quei
tempi
Patara
era,
assieme
a
Myra,
la più
importante
città
portuale
della
Licia,
storica
regione
costiera
dell’attuale
Turchia,
ed era
famosa
per un
santuario
in
onore
di
Apollo.
La sua
fu una
gioventù
vissuta
in
modo
pio e
morigerato
nel
disprezzo
delle
mondanità,
in un
periodo
storico
caratterizzato
dal
governo
dell’Impero
Romano
da
parte
degli
imperatori
Probo
prima,
e
Diocleziano
in
seguito. Nulla però si conosce circa il suo ambiente
familiare, in riguardo alla sua cristianità, rimanendo
quindi dubbiosi circa una sua nascita come cristiano o
come il suo credo sia invece derivato da una conversione. Questo vuoto è imputabile alla perdita di
una “Vita” scritta intorno al 400-410 da un anonimo, e
successivamente letta nel 582 da Eustrazio, sacerdote di
Costantinopoli,
dopo
di che
se ne
perdettero
le
tracce. |
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Nel IV secolo fu vescovo di Myra in Lycia, dimostrandosi
pieno di sollecitudine pastorale verso gli indigenti, i
deboli e i perseguitati. Il suo ministero si svolse
soprattutto al tempo di Costantino il Grande, ma si
presume che abbia sofferto per le persecuzioni di
Diocleziano e di Licinio. Pastore pieno di carità, attento
ai bisogni spirituali e materiali dei suoi fedeli, si
sarebbe impegnato nella lotta all'idolatria e alle eresie.
Morì probabilmente qualche tempo dopo aver partecipato al
Concilio di Nicea del 325, si suppone intorno al 334. Alla
sua morte, le spoglie vennero deposte a Myra fino a
quando, nel 1087, un gruppo di marinai baresi travestiti
da mercanti le trafugò e le portò a Bari dove sono tutt'ora
conservate nella Basilica al Santo dedicata (ma di questo
ne parleremo in seguito). Il culto di questo santo,
riconosciuto universalmente come taumaturgo, ebbe larga
diffusione sia in Oriente che in Occidente. La sua vita,
poco documentata storicamente, è stata nel tempo
arricchita da numerose leggende. Una tra le più famose e
più rappresentate dalla iconografia europea è quella
narrata dal greco Michele Archimandrita (IX secolo) e
confermata da Dante nel Purgatorio (XX, 31-33). Un
nobiluomo ridotto alla miseria impossibilitato a sposare
le sue tre figlie giovanissime, decise di farle
prostituire. Nicola, per evitare un simile sacrilegio,
decise di intervenire lanciando per tre notti consecutive
(questa è una versione, altri scrivono di giorni molto
lontani tra loro), attraverso una finestra, i tre sacchi
di monete che avrebbero costituito la dote delle ragazze.
La prima e la seconda notte le cose andarono come
stabilito. Tuttavia la terza notte San Nicola fu “colto
sul fatto” dal genitore grato a questo benefattore dal
cuore così nobile. Inoltre vengono ricordati il soccorso
tempestivo ai navigatori pericolanti, la prodigiosa
provvista di granaglie per la popolazione affamata, i suoi
interventi a favore degli innocenti avviati alla condanna
capitale e sottratti agli ufficiali di Costantino.
Risponde meglio alla verità storica, la sua coraggiosa
difesa della fede cristiana in un ambiente ostile e
pagano. Un riferimento rilevante, anche se controverso, da
parte dello storico bizantino Teodoro il Lettore, é
costituito dalla citazione di Nicola nella lista dei 318
Padri del concilio primo di Nicea celebrato nell’anno 325.
Ma c’e chi dubita perfino che fosse vescovo, e di Myra, in
quanto all’epoca di Costantino la cittadina era ancora
troppo piccola per essere designata a sede vescovile.
Anche l’attribuzione di tendenze monastiche e mistiche è
fuori tempo e fuori quadro, in quanto egli in quel periodo
dovette piuttosto impegnarsi nella lotta contro gli
avversari della fede, gettandosi nella mischia. Costantino
aveva rivalutato molto la figura dei vescovi, considerati
giudici nelle controversie anche civili e mediatori di
pace e di giustizia. Dunque, gli scrittori sacri
cominciarono a interessarsi di lui subito dopo la morte
(334?), non tanto della sua santità, ma degli episodi
edificanti divulgati attraverso la Praxis de stratelatis,
che a Roma furono noti fin dal secolo VI. Questo testo, di
anonimo, lo presenta come uomo dal carattere energico e
caparbio, coraggioso assertore della vera giustizia. Frenò
in Myra l’azione non corretta degli ufficiali
dell’imperatore, e in particolare il modo di fare dei
soldati soggetti ai generali, ristabilendo la convivenza
pacifica con la popolazione. Il culto del santo si diffuse
nell’ambiente greco a partire dal secolo VI-VII; in
seguito il Santo entrò a far parte anche del Passionario
Romano che costituisce il più antico testo integrale su
Nicola di Myra, ricordato insieme ad altri cinquanta
santi. Questo è il San Nicola di Myra che più direttamente
si riallaccia con quello venerato nella più famosa
Basilica di Bari, e questo è quello che più
cronologicamente si avvicina al San Nicola il cui culto
venne probabilmente introdotto nel territorio forinese sin
da quando iniziò a influenzare la società greco-bizantina
del tempo. Questa precisazione è dovuta perché in Italia
esiste un’altra basilica dedicata al culto di un San
Nicola orientale, e più precisamente a Venezia la Basilica
di San Nicolò, nella quale vengono anche li conservate
spoglie mortali del Santo. Per avere idee più chiare su
questa “confusione” vi rimandiamo agli scritti degli
studiosi della materia, anche se è possibile, a quanto
pare, dopo delle “ricognizioni” dei resti, che alcune ossa
del Santo che riposa a Bari sia possibile siano frammiste
a quelle del Santo venerato a Venezia. Vi sono possibilità
concrete che questa ipotesi sia veritiera, in quanto lo
scheletro barese è incompleto, e la storia recita anche di
una traslazione dei veneziani posteriore a quella dei
baresi di circa un secolo. |
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Origine del culto di
San Nicola a Forino
Mentre sulle coste
della Licia il nostro
Protettore muoveva i
suoi passi verso gli
onori degli altari
derivanti dalla sua
testimonianza di fede,
Forino doveva essere
un nodo viario di una
certa importanza
nell’ambito della
Campania Felix. In
quei tempi erano in
corso i lavori di
restauro di quell’acquedotto
la cui costruzione fu
per lungo tempo fu
attribuita
all’imperatore
Claudio, ma che una
stele ritrovata presso
le sorgenti di Serino
nel 1938 ricondusse
all’epoca di Augusto.
Il consistente
restauro
dell’acquedotto,
voluto dall’imperatore
Costantino (317-326),
avvenne tra il 323 e
il 324 D.C., appena un
anno prima del
Concilio di Nicea
(325, e di cui si
conserva una tela
settecentesca
raffigurante l’evento
nella Chiesa di Santo
Stefano). Tenuto conto
della complessità
dell’attraversamento
della piana di Forino,
che avveniva
completamente in
galleria, è da
immaginare che si
siano creati anche in
questo periodo degli
accampamenti per le
maestranze, i
praepositus aquaeductus e i curator aquarium, nella piana
di Forino, oltre gli
insediamenti stabili
dei residenti. Se è
vero come si ipotizza
che il Praetorium
della vicina Abellinum,
anche se la distanza
appare eccessiva,
incideva nell’attuale
area di Petruro,
abbiamo un discreto
“popolamento” della
zona in quel periodo.
Inoltre, aprendo una
parentesi e sbirciando
il lavoro degli
studiosi di
toponomastica, veniamo
condotti a considerare
alcune ipotesi sul
nome del nostro paese,
e quindi sulla sua
origine. |
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Seguendo gli scritti dello Scandone,
ripresi poi anche dai
nostri storici locali
Tornatore e Vespucci,
veniamo a conoscenza
come scritto
precedentemente
dell’esistenza del
praetorium di
Abellinum nella zona
della nostra Petruro.
Sappiamo anche che
grandi latifondi di patrizi romani insistevano nella zona
del nemus corilianum, il grande bosco di alberi di
nocciolo e castagno che copriva una vasta area, dalla
nostra valle sino a Montemiletto e oltre. In questi grandi
latifondi, come testimoniano vari toponimi locali,
insistevano delle villae che ospitavano fattori e schiavi
dediti al lavoro agricolo. Generalmente gli schiavi erano
gente deportata da altre aree o anche dei delinquenti
ridotti ai lavori forzati. I vari ritrovamenti effettuati
nella valle di Forino (in località Parianico, Tora,
Martignano, Pezze, Petruro e, ultima in ordine di tempo,
il doile ritrovato nel centro di Forino) rafforzano le
teorie di romanizzazione dell’area, ma sono anche punto di
partenza per la ricerca di reperti di epoche più remote.
L’interpretazione etimologica sul significato e sulle
origine del nome di Forino, quindi, sono state sempre
motivo di confronto tra i vari storici. La più probabile è
quella che vuole il nome derivato da forum, inteso come
luogo di contrattazione e di incontro, piazza, mercato
(divagando ulteriormente ricordiamo che sino alla fine
degli anni ’30 del secolo scorso Forino era importante
piazza per il mercato del bestiame). Un’altra tesi
promuove la possibilità di far derivare il significato di
forum come “buco, foro”, adducendo come motivazione la
presenza dello scolo naturale delle Pescaie; questa tesi
però non trova né riscontro né sostenitori nello studio
dei latinisti. Qualcuno come il Tornatore, invece,
propende per una derivazione da Flos, floris. Però questo
possibile significato ha una derivazione troppo tarda, e
serve semplicemente a giustificare l’araldica, conseguenza
logica dell’influsso aragonese e della signoria degli
Orsini, e non può essere presa in considerazione. L’ultima
ipotesi parla della derivazione dal latino furs, furis
ovvero ladro, furfante. Fatto salvo l’onore di tutti noi
Forinesi, è universalmente conosciuto il fatto che in ogni
gregge c’è una pecora nera. Ma non credo che questo si
possa riferire ai Forinesi in quanto tali, ma considerando
che molto probabilmente in epoca romana Forino ospitava il
luogo di amministrazione della giustizia di Abellinum, e
che nelle varie fattorie dislocate nel territorio i
lavoratori erano sì schiavi, ma anche galeotti, ci pare
che di poter affermare che quest’ultima ipotesi non pare
così priva di fondamento. Gli anni seguenti al regno di
Costantino furono quelli che indicarono la via del
tramonto al grande impero romano. Si fecero più pressanti
le invasioni barbariche, le quali misero a dura prova i
confini dell’impero, e nel 395 ci fu anche la prima
divisione tra l’Impero Romano d’Occidente, affidato al
barbaro Stilicone Onorio, e d’Oriente, affidato ad Arcadio
sotto la tutela di Rufino. Nel 476, dopo numerose
invasioni e mille battaglie cade l’Impero Romano
d’Occidente. E’ la fine di mille anni di storia
caratterizzati dalla nascita e dalla potenza di Roma nel
mondo allora conosciuto, ed è l’inizio di un periodo
oscuro dominato dal caos e dalla paura. Chissà in che modo
Forino e i suoi abitanti attraversarono questo momento
buio della storia. E’ certo che la religione cristiana era
ancora lontana da una penetrazione completa tra il popolo,
in quanto documenti stilati nel VII secolo nelle nostre
contrade recano al posto della croce dopo la firma, e
quindi simbolo di cristianità, un triangolo, testimoniando
che il paganesimo era ben lontano dall’essere abbandonato.
Roma da molto tempo aveva smesso di essere il centro
dell’impero, in quanto Costantino aveva spostato la
capitale dello stesso nella meno antica Bisanzio, ma
collocata in un punto strategico per i suoi interessi, e
la ribattezzò Costantinopoli. Ed è da li che qualche anno
dopo, l’imperatore Giustiniano pensò che fosse giunto il
momento di restaurare i fasti dell’antico impero,
imbarcandosi in una serie di guerre di riconquista dei
territori che oramai da quasi un secolo erano in mano alle
popolazioni barbare, cominciando quella che fu definita la
guerra greco-gotica (535-553). Pensò quindi di inviare in
Italia, nel 535, il suo generale Belisario, il quale
intraprese la campagna di riconquista dei territori in
mano ai Goti. Fu per l’Italia, la guerra gotico-bizantina,
una rovina. Belisario dopo le prime effimere vittorie,
accusò varie sconfitte, e quindi il territorio passò da un
dominatore all’altro senza soluzione di continuità. Il
territorio di Abellinum fu tenuto da Belisario solo pochi
anni (536-539), per poi essere ripreso da Totila (543),
che distrusse tutte le opere di difesa in esso esistenti
per impedirne ai Bizantini la rioccupazione. Per i Goti fu
facile rioccupare il territorio, in quanto le popolazioni
indigene, stremate dal fiscalismo bizantino della prima
occupazione si erano date a Totila che era riuscito ad
avere il loro appoggio ma che poi operò radicali
distruzioni lasciando fortificate solo Napoli e Cuma. Dopo
quindici anni di lotte, Giustiniano si convinse di
richiamare Belisario che non aveva, in fondo, combinato
granchè, e inviò il generale Narsete. In soli due anni di
campagna questo generale riuscì ad annientare i Goti, e a
riportare quindi l’Italia nell’Impero. E fin dal 552, dopo
che i Goti riportarono una sconfitta ad opera delle truppe
bizantine sui monti Lattari ebbe, così, inizio l’epoca
della dominazione bizantina dell’Italia meridionale. Da
precisare che Narsete e le sue truppe sostarono per più di
un anno (553) nella piana tra il fiume Sarno e Montoro.
Una curiosità odierna è data dalla presenza nel comune di
Montoro Inferiore, più precisamente nella frazione di
Piazza di Pandola del toponimo Campo dei Greci. Ed ecco
l’anello di congiunzione tra San Nicola e la nostra terra:
precedentemente si è accennato a come si sia diffuso il
culto del Santo tra la gente greca tra il VI e il VII
secolo. E’ evidente che quindi anche gli abitanti della
valle di Forino in questo periodo hanno appreso della sua
esistenza ed abbiano iniziato a conoscere le mirabili
opere di questo Santo, rimanendone affascinati.
Divagando con l’immaginazione, ci pare di assistere alle
cavalcate dei drappelli bizantini per le valli circostanti
il loro accampamento. Erano sicuramente attirati da quel
piccolo monte che dominava la valle di Montoro e che era
un adatto punto di osservazione per scrutare il nemico
lontano, che poteva coglierli di sorpresa alle spalle. Ed
è quindi in questo periodo, come ci narra la tradizione
orale ripresa dal primo estensore di una storia di Forino,
il padre Antonio Girolamo Tornatore, che nei pressi del
castello, posto sul colle a guardia della valle dell’Irno,
si iniziò a venerare il Santo, “… la cui rozza
immagine, sospesa ad un albero, raccoglieva intorno a se i
pochi abitanti...”. Viene scritto pochi abitanti:
potrebbe anche darsi, ma questa è solo una considerazione
personale, che la nostra valle, dopo aver ospitato
insediamenti romani per tantissimi anni, abbia subito nel
periodo “buio” di quei anni uno spopolamento, e che
quindi, con l’arrivo dei bizantini, gruppi di questi
abbiano deciso di stanziarsi in questa zona, visto che era
costume del tempo premiare le truppe con l’assegnazione di
appezzamenti di terreno da destinare all’uso agricolo. E
certamente le nostre valli, oltre ad essere comprese, come
detto in precedenza, nell’antico nemus corilianum, erano sicuramente molto fertili per via
delle ceneri vulcaniche che le eruzioni del Vesuvio
periodicamente avevano deposto. Però la pace e la
prosperità non regnarono eterne nel territorio di Forino, nè nelle contrade circostanti. I Bizantini completarono il
lavoro di distruzione iniziato da Totila con la
distruzione di Abellinum, la quale da allora fu
abbandonata, dando inizio ai tempi bui della loro
dominazione (555-571), caratterizzata da un esoso
fiscalismo. Poi alcune carestie e le eruzioni del Vesuvio
fecero il resto. Per la scomparsa di Abellinum e per la
peculiarità difensiva del bacino a vantaggio di chi
cercava scampo dalla pianura e dalla costa, Forino entrò
nell’orbita di Salerno. Venne cioè a far parte di quell'area
gravitante sulla città che visse per lungo tempo una
simbiosi particolare con essa e che vide in questo periodo
la costituzione dei distretti pievani che sono territori
organizzati intorno ad una chiesa matrice. Negli angoli
più riposti di quest'area il cristianesimo delle origini
non scomparve, anzi tra il fallimento del mondo romano e
gli sconvolgimenti delle invasioni fu l’unico sostegno per
le popolazioni isolate nelle campagne. E fu in questi
ambienti che andò formandosi, come in tutte le comunità
postcristiane, quel sincretismo di cristianesimo e
paganesimo che è il substrato della religiosità popolare
in cui i comportamenti pagani, depurati dall’aspetto
religioso, si trasformarono in atti consuetudinari
permettendo al cristianesimo di assorbirli in sé. Ciò
avvenne per il culto dei santi e degli angeli che sostituì
il bisogno pagano di quella serie di dei minori che
accompagnavano l’uomo dalla nascita alla morte e portò
alla pratica di porre croci o piccole cappelle nei luoghi
della vita quotidiana, campi o case, per porli sotto la
protezione divina. In questo territorio ad ampia
diffusione romana, in cui non potettero non esserci luoghi
di culto pagano secondo un'esigenza fortemente avvertita
dalla realtà rurale e in cui si era introdotto il
cristianesimo delle origini, avvenne la trasformazione dei
sacelli romani in luoghi di preghiera cristiani. Di essi
fu matrice e nucleo la pieve che è una chiesa di campagna
che esiste là dove ci sono questi semplici luoghi di culto
sparsi e che dette origine al distretto pievano. Questo
spiega il perché di tante chiese forinesi dislocate in
luoghi decentrati rispetto ai centri abitati. Intanto,
all’orizzonte nuove guerre allungavano le loro tenebrose
ombre sull’Italia. Nell’anno 568 fecero la loro
apparizione sul suolo italiano i Longobardi, che scesero
fino al meridione, occupando con le armi alcuni territori
nel napoletano e fondando nel 570 il Ducato di Benevento.
Anche Forino passò sotto la dominazione longobarda ed ebbe
a capo uno sculdascio. Ancora anni bui per Forino? Non
sembra: gli “invasori” Longobardi non dovettero essere
particolarmente feroci, anche se la storia ci ha
tramandato episodi a loro attribuiti tali da far
inorridire. Nonostante tutto, il culto di San Nicola è
rimasto, anche se erano stati veramente pochi gli anni
intercorsi tra la riconquista bizantina e l’invasione
longobarda perché si potesse talmente radicare nel
territorio il culto del vescovo di Myra. Anzi, a tal
proposito, e conoscendo le tradizioni locali, viene da
pensare che due comunità in quei tempi ben distinte,
riuscissero a coesistere nella vallata forinese. Magari,
anzi, sicuramente con il tempo le comunità si saranno
frammiste grazie a matrimoni, ma se riescono a coesistere
due culti così remoti, come quello di San Nicola
introdotto dai Bizantini e quello di San Michele
Arcangelo, protettore delle genti longobarde si evince che
nonostante tutto le popolazioni non furono tra di loro
particolarmente bellicose. A sostegno di queste ipotesi
vanno due fatti: il primo lo fornisce la storia del
Tornatore, che riporta una notizia 586, circa una contesa
sorta, il giudice Amato interrogò “etiam Sacerdotem ac
Recorem Ecclesiae S. Nicolai propre Furino”. Questa è
la prima menzione circa l’esistenza, se non del santuario,
di una chiesa titolata al Vescovo di Myra. E quindi stiamo
parlando di 34 anni dalla sconfitta dei Goti e dal ritorno
dei Bizantini, e di soli 16 anni dalla costituzione del
Ducato di Benevento. Inoltre, secondo fatto, va ricordato
l’accordo del 598, con il quale al Papa Gregorio I viene
facilitata l’opera di conversione al cristianesimo
cattolico delle genti longobarde. Nonostante questo
apparente stato idilliaco delle cose, i Bizantini non
rinunciarono all’Italia, dopo qualche decennio (662)
Costante II tentò, d’accordo con i Franchi, di
rimpossessarsi dei territori peninsulari. Nel 663 i
Bizantini sbarcarono a Taranto, ed ebbero vita abbastanza
facile nei loro movimenti in Italia anche se… C’è un se in
questo movimentato periodo che sarebbe stato preludio di
una rinnovata alternanza nell’appartenenza del territorio
forinese ora al Principato di Salerno, ora al Ducato di
Benevento. Un avvenimento che è rimasto scolpito nella
pietra, o meglio, è stato messo nero su bianco da un
attento studioso dell’VIII secolo, tale Paolo da Cividale,
passato poi alla storia come Paolo Diacono, estensore
dell’ Historia Longobardorum. Opera dotta e attenta
riguardante la storia di questo popolo, e mezzo per
mostrare la loro consapevolezza del ruolo svolto nella
storia come veri eredi della civiltà classica e cristiana.
Dicevamo del se: le truppe bizantine non incontrarono
particolari resistenze finché non si trattò di assediare
Benevento. E lì gli impedimenti alla sua marcia furono
molteplici: prima di tutto la resistenza di Romualdo, il
principe del ducato beneventano, che tenne duro fino
all’arrivo dei soccorsi guidati dal padre Grimoaldo.
Costante pensò bene di abbandonare l’assedio di Benevento
e di ripiegare verso la già sottomessa Napoli. Giunto
l’imperatore a Napoli… “uno dei suoi ottimati di nome
Saburro, come si narra, chiese ad Augusto ventimila uomini
e promise che avrebbe affrontato vittoriosamente Romualdo.
Ottenuto l’esercito e giunto in un luogo chiamato Forino
(ad locum cui Forinus nomen est), vi pose l’accampamento.
Grimoaldo, che era già arrivato a Benevento, non appena lo
seppe, decise di muovergli contro. Gli disse il figlio
Romualdo: ’Non c’è n’è bisogno; dateci soltanto una parte
del vostro esercito. L’affronterò io, con l’aiuto di Dio,
e quando avrò vinto sarà data maggior gloria alla vostra
potenza’. Così avvenne. Ricevuta una parte dell’esercito
del padre, insieme a suoi uomini, marciò contro Saburro.
Prima di attaccare battaglia, fece suonare le trombe in
quattro direzioni, e subito si lanciò con audacia su di
loro. Mentre i due schieramenti combattevano con
accanimento, uno dell’esercito del re, di nome Amalongo,
che di solito portava il vessillo del re issato sulla
lancia, percosse forte con quella stessa lancia, a mani
unite, un greco, lo prese dalla sella su cui cavalcava e
lo sollevò per aria sopra il suo capo. Vedendo ciò,
l’esercito dei Greci, preso all’improvviso da immenso
terrore, si volse in fuga, e fatto rovinosamente a pezzi,
fuggendo procurò a sé morte, a Romualdo e ai Longobardi
vittoria. Così Saburro che aveva promesso al suo
imperatore il trofeo della vittoria sui Longobardi,
ritornando a lui con pochi uomini, gli recò l’ignominia.
Romualdo, invece, ottenuta la vittoria sui nemici, ritornò
trionfante a Benevento e procurò gioia al padre e a tutti
sicurezza, eliminando la paura del nemico” (Historia
Longobardorum, Libro V, 10). Diciamo che, finalmente, per
qualche anno questa epica battaglia procurò una certa
tranquillità ai forinesi del tempo, anche se furono sempre
al centro delle dispute dei nobili longobardi di Salerno e
Benevento. Forino si trovava su un asse difensivo formato
dai castelli di Monteforte, Forino, Solfora, Montoro, Rota
(Mercato San Severino), Castel San Giorgio e altri, ed era
logico che facesse sempre comodo averlo dalla propria
parte. Tornando alla battaglia, che la tradizione vuole
sia stata combattuta l’8 di maggio, anche se non ve ne è
certezza storica, i Longobardi pensarono bene di erigere
in quei luoghi uno dei santuari che fanno parte del culto
micaelico, inserito in quella traiettoria che va dal
Tirreno all’Adriatico e segnata da numerosissimi santuari
o chiese rupestri dedicate a San Michele Arcangelo, loro
protettore. La posizione della grotta sul Monte Faliesi
fa’ pensare che la battaglia si sia combattuta nella zona
che segna il confine tra Forino e Contrada, più
precisamente dove ora è stato insediato il PIP del comune
di Contrada. Ma non sembra essere un luogo adatto per un
accampamento, quindi altre supposizioni optano che questo
fosse stato posto, e appare più plausibile, nella zona tra
la collina di Bufoni e quella di San Nicola, e che quindi
i Longobardi, in numero inferiore, abbiano potuto
sfruttare le colline per poter stringere ed annientare
l’esercito bizantino. Altro luogo, simile per
caratteristiche, potrebbe essere l'area di Martignano,
alle falde dei monti Piana e Romola, dando così
giustificazione alle ipotesi che vogliono la nascita della
chiesa campestre di Santa Maria Castro Forini al centro di
un accampamento bizantino. Diciamo che questa divagazione ci è
servita per avere l’idea di quali fossero i rapporti tra i
due popoli, anche se la diplomazia alla fine determinava
esiti che potevano essere differenti da quelli delle
battaglie. Intorno all’830 Forino divenne un gastaldato e
fu affidato a Goffredo, grazie al quale divenne un
importante centro culturale, sede notarile e sede
giudiziaria. Roffredo, aspirando al trono di Benevento,
intraprese una lunga lotta con Adalferio. La pace si
raggiunse grazie all’intervento di Ludovico II nell’849,
allorché si operò la divisione dei territori, includendo
Forino nel principato di Salerno. La necessità di uno
schieramento difensivo sul confine fece assumere a Forino
un’importanza strategica, da cui derivò la decisione di
costruirvi un gastaldato, cioè un distretto militare
importante (Castaldatum Furini). In questo periodo
fu ampliato e fortificato il castello che in epoca
bizantina era stato costruito come un semplice fortilizio.
Fu in questa fase che venne destinata all’uso di cappella
per il culto di San Nicola quel locale che ora trovasi
all’esterno del santuario, sulla sinistra, che per lungo
tempo noi abbiamo ricordato come un ossario e che ora è
diventato un ripostiglio per le scope. La pace imposta da Ludovico II con la
spartizione del territorio tra il principato di Benevento
ed il principato di Salerno non durò a lungo perché
sorsero nuove mire egemoniche. Il Castaldatum Furini,
vedetta di tutto lo schieramento difensivo del principato
salernitano, fu campo di scontri militari con le truppe
del principato beneventano che combattevano contro le
milizie salernitane per i vari tentativi di annessione di
altri territori. Intorno all’anno 850 il territorio di
Forino dopo diversi anni di guerra tra il Ducato di
Benevento ed il Ducato di Salerno, passò alle dipendenze
del principe di Salerno Guaiferio. Costui ebbe guerra da
Sergio duca di Napoli, il quale sguinzagliò i terribili
Saraceni in tutto il principato. E’ rimandata a questa
epoca una delle prime leggende circa i tanti miracoli che
hanno salvato Forino, grazie all’intercessione del nostro
Protettore. Narra lo storico Pellegrini (T. IV pag. 399)
che “…i Saraceni fecero molte stragi molte stragi a
Montoro e, mentre marciavano verso Forino, videro il suo
castello e la montagna che lo circonda, piena di soldati
ed allora spaventati tornarono indietro”. Questa
apparizione, oppure questa clamorosa ritirata, fu vista
come un portentoso miracolo di San Nicola, sicuramente il
primo che la tradizione locale tramanda. I racconti orali
ci narrano che “il ringraziamento da parte del popolo
forinese al Santo Protettore per lo scampato pericolo fu
dei più sontuosi. Infatti, il popolo tutto, decise di far
costruire accanto alla rozza cappella eretta al tempo dei
greci, un nuovo tempio a tre navate con travertino della
porta di pregevole valore artistico, che ancora oggi è
possibile ammirare.”. E’ forse in questo periodo che
si iniziò, quindi a trasformare il castello in chiesa? E’
una leggenda, e come tale è da prendere con i dovuti
distinguo. Nel 968 vi fu un nuovo attacco delle truppe
bizantine che, avendo occupato il ducato di Salerno,
estesero il proprio dominio anche su Forino. Dopo qualche
anno Ottone, avendo ripreso la guerra e sconfitto i
bizantini, nel ricostruire il ducato di Benevento e Capua,
estese il suo dominio anche sul principato di Salerno e
quindi su Forino. Verso il 990 una guarnigione militare
composta da guerriglieri normanni giunsero nel territorio
di Salerno e le truppe con a capo Guglielmo il Normanno si
impadronirono di Forino. La narrazione orale attribuisce a
questo periodo la collocazione nella chiesetta adiacente
al castello dell’antica statua di San Nicola, quella
trafugata nel 1976. la descrizione che ne da’ il Tornatore
è che il Santo “… vi è effigiato nei suoi paludamenti
vescovili e seduto, in atto di benedire. Il volto ha un
po' dell' irato. L' artista volle ritrarlo forse nell'
atto in cui ammonisce Ario e difende la divinità di Gesù
Cristo. L'immagine, tutta in legno, è finemente lavorata…”. |
Traslazione dei resti di San Nicola
dalla Turchia a Bari
A questo punto, giunti intorno all’anno Mille,
dobbiamo allontanarci nuovamente da Forino per
capire cosa stava succedendo in una grande città
costiera dell’Adriatico, la città di Bari, quella
che ospita i resti mortali del nostro Protettore.
Verso la fine dell’XI secolo, quando erano ormai
lontani i funesti presagi legati al passaggio al
nuovo millennio, Bari ebbe un decadimento sotto il
profilo del prestigio, in quanto la conquista
normanna (1071) le fece perdere i privilegi
derivanti dal fatto di essere la capitale
dell’Italia greco-bizantina. Si pensò allora di
mantenere alto il prestigio in chiave religiosa.
All’epoca l’importanza di una città si misurava,
oltre che con le ricchezze o i possedimenti, anche
con la capacità di impadronirsi delle reliquie di
santi famosi disperse nelle terre degli infedeli. |
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Fu
così che nel 1087 i baresi organizzarono l’impresa per
portare nella loro città le reliquie di San Nicola. Al
termine di operazioni commerciali ad Antiochia, sulla
via del ritorno tre navi baresi attraccarono al porto
di Myra. Mentre quindici marinai rimanevano di guardia
alle navi, gli altri s’incamminarono per poco più di
due chilometri ed entrarono nella chiesa ove Nicola
era sepolto. Bloccati i pii monaci che volevano
correre a Myra per avvertire la popolazione (anche se
a quei tempi, in Sarracinia, era difficile che si
potessero incontrare pii monaci…), ruppero il
sarcofago e presero le reliquie, consegnandole ai due
sacerdoti della spedizione, Lupo e Grimoaldo. I primi
giorni della navigazione di ritorno furono disastrosi,
tanto che qualcuno pensò di riportare le reliquie dove
le avevano prese. Ma quando cinque dei marinai
rimisero a posto alcune delle reliquie rubate, il
viaggio riprese speditamente. Il 9 maggio del 1087 le
reliquie entrarono trionfalmente a Bari. Inizialmente
vi furono dei contrasti con l’arcivescovo a proposito
del luogo dove conservare il corpo di Nicola. La
difficoltà fu superata con la decisione di edificare
una splendida basilica nell’area che era stata la
residenza dei governatori bizantini. L’incarico di
dirigere i lavori fu affidato all’abate Elia, del
monastero di San Benedetto di Bari. La fama di San
Nicola fece sì che i più celebri cavalieri della prima
crociata passassero nell’ottobre del 1096 a rendere
omaggio al Santo, prima di partire per Costantinopoli
e Gerusalemme. A tal proposito è opportuno ricordare
che anche Forino fu, all’inizio del XIII secolo,
interessata dal passaggio dei volontari che si
recavano a combattere in Terra Santa, e a tal uso
sorse nel Casale della Contrada, allora parte
integrante del feudo forinese, un ospizio per i
“pellegrini”, e da questo ospizio poi il luogo prese
il nome il Casale Ospedale (Hospitale). Esso trova le
sue radici nella presenza in quel luogo di uno dei più
antichi ospedali sorti nella nostra regione. Difatti
già nel 1170 lo troviamo citato fra i confini di una
terra “…ubi Porka dicitur propinquo ipso spitale…”.
Molto probabilmente questo ospedale andò in rovina
agli inizi del XIII secolo, e successivamente
riedificato. Si è
scritto, prima di inquadrare temporalmente la
trasformazione da San Nicola di Myra a San Nicola di
Bari, che la liberazione dai Saraceni fu avviata la
costruzione del Santuario posto sul colle ora omonimo.
E’ forse da inquadrare in questo periodo storico la
decadenza del Castello di Forino? Oppure, come citano
altre fonti, bisogna attendere il periodo del
predominio normanno (1100 circa), se non molto più
tardi, nel XV secolo? E’ uno dei quesiti a cui una
risposta concreta si può solo dare continuando ad
analizzare lo svolgersi degli eventi.
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citarne la fonte) |
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