Neviere e carbonaie
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Le neviere
Appresi tempo fa, da alcuni scritti riguardanti il limitrofo comune di
Bracigliano, dell'esistenza in località Piano Salto di alcune neviere,
destinate alla produzione di ghiaccio. Essendo la località confinante con
Forino, anzi, appartenendo l'intera pineta ivi presente al nostro
territorio comunale, è sempre rimasta viva la curiosità di sapere se
esse insistessero anche nel territorio forinese. Tale curiosità è
rimasta inappagata fin quando non si è realizzato, dopo una adeguata
documentazione, che alcune strutture murarie presenti nella pineta
potessero appartenere appunto alle neviere. A cosa servissero lo
abbiamo accennato all'inizio: rappresentavano comunque l'unica possibilità
di ottenere, nei periodi caldi, bevande o cibi freddi o di poter
refrigerare e quindi conservare più a lungo cibi deperibili. Qual'è la loro storia e come venissero utilizzate lo
scopriremo ora insieme.
Fin dall’epoca romana, la raccolta della neve o del ghiaccio fu
un’attività molto praticata e si protrasse fino alla seconda metà
dell’ottocento quando si cominciò a produrre il ghiaccio
artificialmente.
A Forino esistevano molte neviere: alcune erano ubicate anche nel piano,
in località Mogliano. Alcune erano del tutto simili a quelle di Piano
Salto, in quanto avevano una struttura in pietra con un ingresso
principale, altre erano semplicemente delle buche nel terreno, pressoché circolari, con diametro di 5-10
m. e profonde altrettanto. L'ingresso
delle neviere era rivolto verso il nord, per ridurre l'irraggiamento
solare diretto verso l'interno.
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Anche la porta di ingresso era schermata
da una fitta copertura di frasche. La neviera consistente in un vasto vano
con un corpo di fabbrica costruito con pietre a secco e scavato
parzialmente nel terreno, aveva una apertura posterula per il caricamento
di neve fresca e per il prelievo del ghiaccio. Per
garantire un sufficiente isolamento termico la costruzione era ricoperta
da un grosso cumulo di terreno. La neve raccolta veniva sistemata all’interno della neviera
evitando di lasciare spazi vuoti o interstizi nei quali potesse
infiltrarsi l’aria e favorire lo scioglimento. Quindi era necessario
pressare e rendere uniformi i vari strati di neve. Gli operai che ivi lavoravano, raccoglievano la neve e la
immettevano nella “bocca”, la pressavano con degli appositi
attrezzi in legno affinché si compattasse uniformemente e assumesse, con
l'ausilio delle basse temperature notturne e delle parziali rifusioni
diurne, le caratteristiche del ghiaccio. |
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Uno strato di paglia veniva messo sulla superficie compatta
per creare un’adeguata stanza termica rispetto all’aria circostante.
Ad avvenuto caricamento, la piccola apertura sul retro veniva chiusa con
frasche e terreno. Uno strato di neve, uno strato di paglia, un altro strato di neve,
un altro di paglia o ramaglie e così via.
L’operazione
di raccolta poteva ripetersi tante volte quante erano le precipitazioni
nevose di quell’anno. Con
la buona stagione iniziava la richiesta da parte del mercato, il ghiaccio
veniva tagliato in blocchi con degli appositi spadoni, caricato
sui carretti e trasportato in paese dove veniva conservato in
depositi freschi prima di essere ancora ridotto in piccoli blocchi
o sminuzzato a seconda della destinazione e distribuiti al
dettaglio. La possibilità di disporre d’estate di ghiaccio
sminuzzato favorì la produzione di granite e sorbetti,
antesignani del moderno gelato, che già nel XVIII secolo
allietavano le tavole e i salotti dei ceti più abbienti. |
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Le carbonaie
Qualche tempo fa acquistai in un mercatino una bellissima cartolina che
proponeva un panorama di Forino risalente agli inizi del XX secolo. La
cartolina fu spedita nel 1911 da un reduce di guerra, e sinceramente
quanto vi è scritto sul retro fa parte di una storia che dovette essere
veramente struggente.
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Ma tornando
all'immagine, fra le tante "diversità" riscontrabili
tra il panorama odierno e quello di allora, fu la scena in primo
piano, e qui a fianco "estratta", che attirò
maggiormente la mia attenzione e curiosità. Fino a qualche
tempo fa ero convinto che l'unica persona ritratta di spalle
nella fotografia fosse un contadino. Un contadino stanco del
lavoro, che voltava le spalle al fotografo e lentamente andava ad
usufruire del meritato riposo. Ma cos'erano quei cumuli? La risposta
venne dopo qualche tempo, si trattava di una carbonaia. |
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Come non averci pensato
prima: quei cumuli apparentemente di terreno, coprono invece dei tronchi
messi ad "abbrustolire" lentamente. Si usava, infatti, carbonizzare il
legno principalmente dove il trasporto della legna era difficoltoso. Ma
come veniva preparata una carbonaia? Queste erano delle cataste di legna
ben tagliata lunga circa un metro e disposta verticalmente su due piani
a formare un tronco di cono di varie misure. Veniva ricoperto con uno
strato di fogliame e su di esso alcuni centimetri di terra lasciando
però alla base un piccolo lembo circolare scoperto per dare accesso
all'aria. Al centro, legni più corti intrecciati costituivano un camino
detto castello, chiuso alla sommità con zolle di terra, nel quale veniva
alimentato il fuoco che produceva la cottura della catasta. Ricevendo
viveri dalle mogli, i carbonai vivevano per mesi nei boschi per il
taglio, la costruzione e per controllarne giorno e notte il decorso: se
il mantello si fosse rotto, l'aria, rinvigorendo la combustione, avrebbe
ridotto tutto in cenere. Il carbone era fatto quando da tutto il
mantello fuoriusciva un fumo color turchese, a questo punto si ricopriva
con altra terra chiudendo anche l'apertura alla base al fine di
soffocare la combustione e spegnere il carbone. Ogni processo durava
circa dodici giorni. Il carbone ottenuto in questo modo veniva poi
trasportato a valle per rifornire forni e fornaci in un primo tempo, le
macchine a vapore di treni e battelli in seguito. Famosa fu la disputa
che si trovò ad affrontare nel 1788 l'Università di Forino contro le
regie fabbriche d'armi di Torre Annunziata, per la produzione di un
quantitativo di carbone che avrebbe distrutto per intero il patrimonio
boschivo forinese, ma fortunatamente, alla fine, non avvenne quella
temuta deforestazione.
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